Earl & The Three-Fifths Compromise con quella sua melodia di velluto puro, quell’atmosfera notturna, quell’incedere sinuoso e seducente potrebbe benissimo essere stata scritta da Charles Mingus. Sarà perché Eric Revis come Mingus suona il contrabbasso ed è californiano; in ogni caso Revis firma con Slipknots Through a Looking Glass un disco eccellente, di quelli che fanno dimenticare le estenuate prolissità neo-fusion o le smargiassate di tanti jazzisti palestrati. Il cinquantatreenne contrabbassista schiera in questo lavoro un quintetto di stelle e la prima cosa che balza all’orecchio è la personalità di tutti. Ognuno ha un suono e un fraseggio originale e riconoscibile. Il suono nel jazz è tutto. Suono come impronta corporea sullo strumento. Ascoltate per esempio il tocco della pianista Kris Davis, tra le musiciste più interessanti del momento.

POI IL BATTERISTA Chad Taylor con quel suo drumming essenziale, africanista, si potrebbe definire ancestrale così come d’altronde il suono di Revis è profondo, legnoso. Poi ci sono due sax: il tenore di Bill McHenry e l’alto di Darius Jones in deliziosi contrappunti e unisoni oppure in soli di viscerale emotività. Tre soli di contrabbasso punteggiano il disco che contiene solo composizioni originali del leader più una improvvisazione e due brani di McHenry e Jones. L’iniziale Baby Renfro è un funk secco e quasi cattivo tanto quanto è dolce e lirica When I Become Nothing. La vena melodica del leader è particolarmente felice in ProByte, mentre Shutter e Vimen sono una piattaforma ideale per le improvvisazioni infuocate dei sax, nella seconda anche del pianismo ricco di note ribattute, cluster, frasi vertiginose della Davis.

IL DISCO È PRODOTTO dalla etichetta diretta da Kris Davis e sta cominciando a assommare lavori di notevole valore, tra i quali almeno il suo Diatom Ribbons del 2019 con le colleghe Terry Lyne Carrington e Val Jeanty. Si tratta di musicisti che hanno un solido bagaglio professionale, nel caso di Revis la militanza con Betty Carter, Brandford Marsalis e Jason Moran, ma che non si accontentano del mainstream e guardano verso maggiori spazi di libertà e di ricerca. Una generazione pragmatica che rifugge i fondamentalismi e pratica un jazz che a volte, come in questo disco, riesce a staccare le ali da terra.