L’istituzione inquisitoriale più celebre è certamente quella di età moderna, romana o spagnola, legata alla lotta contro la diffusione della Riforma, ma anche alla repressione del non conformismo in molte sue forme. Tuttavia, le sue origini sono da porsi nei secoli centrali del medioevo, quando al papato necessitava uno strumento per il controllo del dissenso. Ci parla di queste origini Marina Benedetti in Medioevo inquisitoriale. Manoscritti, protagonisti, paradossi (Salerno editrice, pp.254, euro 20), a partire dalla decretale Ad abolendam, promulgata da Lucio III nel 1184, e base di quella che si sarebbe precisata come procedura inquisitoriale, non sono nella legislazione ecclesiastica ma anche imperiale: Benedetti ricorda la dettagliata lista di eretici che compare nel Liber Augustalis di Federico II subito dopo il prologo in apertura del testo, proprio a dimostrazione del mandato dell’imperatore nella protezione della dottrina.

ESSENZIALI sono i Trattati, ai quali è dedicata la seconda parte del libro: al contempo manuali operativi e – si guardi il caso di Jacques Fournier, futuro papa Benedetto XII – atti propagandistici dell’ideologia che guida l’inquisizione. In alcuni casi, ci si può chiedere fino a che punto individuino davvero gruppi organizzati, così come vengono descritti, e quanto l’insoddisfazione verso la Chiesa, il dissenso anche politico vengano fatti rientrare nella categoria ereticale per poterli meglio reprimere. D’altra parte, una sezione è dedicata all’età dei processi politici, cioè al Trecento; se certamente vengono in mente procedimenti celebri come quelli intentati da Filippo IV il Bello contro i Templari e persino contro il pontefice (già defunto) Bonifacio VIII, Benedetti ricorda alcuni esempi italiani (ambientati a Modena, Parma, Reggio e Todi) meno noti ma assai rivelatori di come l’accusa di eresia fosse ormai divenuta instrumentum regni.

GRADUALMENTE, inoltre, la concezione stessa di cosa fosse «eretico» si ampliava a dismisura, arrivando a includere le pratiche magiche avvertite come demonolatriche. È così che l’interesse dell’inquisizione si sposta, almeno per una stagione (in età moderna, nel pieno della «caccia alle streghe», lo farà assai meno), verso questo ambito. Benedetti mostra molto bene la vicinanza fra contesto ereticale e stregonico attraverso il caso valdese. Nel Pays de Vaud (Svizzera) sono stati esaminati numerosi processi quattrocenteschi e primo-cinquecenteschi dai quali si evidenzia il legame esistente tra le accuse di eresia, come si erano conosciute nei secoli precedenti a carico dei valdesi, e quelle di stregoneria. In Francia, il complesso intreccio venutosi a creare negli ultimi decenni del ’400 tra eresia, magia e primi accenni di «caccia alle streghe» si manifesta nel drammatico episodio della cosiddetta vauderie d’Arras, nell’Artois. Un eremita condannato a morte per reati di magia demoniaca confessa di aver avuto alcuni complici. Arrestati e sottoposti a tortura, anche questi finirono per confessare, denunciandone a loro volta altri. Chiamati «valdesi» (vaudois), sono accusati di formare una setta criminale al servizio del demonio, che incontrano nel corso di riunioni notturne alle quali giungono in volo, a cavallo di piccoli bastoni, dopo essersi cosparsi di unguento magico per andare en vaulderie, una prefigurazione del Sabba, dove rinnegano la fede cristiana e prendono l’impegno di commettere ogni genere di nefandezza: diffondere epidemie, rendere infecondi i campi, sterili le persone.

A TESTIMONIARE questi primi episodi ci sono diversi Trattati, incluso uno non inquisitoriale, ma in forma poetica e sarcastica, denso di quella misoginia che è pure un tratto del secolo; è Le Champion des Dames di Martin Le Franc, redatto fra 1440 e 1442. A margine, la celebre immagine di due donne in volo a cavallo di una scopa e di un bastone: «la strega in volo e l’espressione en vaulderie si incontrano mostrando il sopravvento del metareale sul reale».