La rabbia curda per l’apatia di Ankara è esplosa in tutto il paese: nel mirino il governo che resta a guardare mentre l’Isis prende Kobane. Ne abbiamo parlato con Murat Cinar, giornalista turco per diversi media nazionali indipendenti, tra cui Birgun, Otonomlar e KaosGL.

Qual è l’attuale situazione dopo i violenti scontri di martedì?

Sono due i fronti di protesta, a ovest e a sud est. L’ovest ha avuto come teatro Ankara, Istanbul, Antasiya, Smirne, la costa mediterranea. Già due giorni fa Taksim era tornata al centro delle proteste. La polizia ha reagito con gas e idranti, ma a preoccupare è stato l’intervento di civili armati di bastoni e sciabole che hanno aggredito i manifestanti.
A sud est della Turchia le proteste sono state più massicce. Oggi [ieri, ndr] Al Jazeera parlava di 18 morti. In sei città meridionali le prefetture hanno dichiarato il coprifuoco, ma il Partito Democratico del Popolo ha comunque invitato la gente a tornare in piazza. Oggi [ieri, ndr] ci sono state ancora manifestazioni a Batman e Diyarbakir, ma più deboli per il coprifuoco attivo fino a domani [oggi, ndr] o in alcuni casi fino a nuovo ordine e per la presenza di carri armati e soldati per le strade.

L’immobilismo di Erdogan è imputabile alla volontà di usare l’eventuale massacro di Kobane per invadere la Siria? O vuole evitare di schierarsi a fianco del Pkk?

Entrambe sono motivazioni valide, seppur non ufficialmente dichiarate. Da due anni la Turchia vive una situazione complessa e molto sfruttata in termini elettorali dall’attuale governo. È uno Stato nazione che attraverso i suoi servizi segreti tratta con il leader di un’organizzazione che fino a ieri era considerata terroristica. Ora quell’organizzazione, quell’interlocutore, il Pkk, sta lavorando fianco a fianco con le Ypg (Unità di Protezione popolare nel nord della Siria). Appoggiare direttamente la realtà curda dall’altra parte del confine non è facile per Ankara che si mantiene a distanza.
In secondo luogo, due anni fa il nord della Siria ha iniziato a realizzare un sogno storico, una zona autonoma sia in termini politici e istituzionali che economici: cantoni, produzione collettiva, assemblee popolari e organizzazione dal basso che va contro il concetto di Stato nazione proprio della Turchia che teme un “contagio”.

L’attuale situazione porrà fine al processo di pace in corso tra Ankara e curdi?

Ne stanno parlando già alcuni parlamentari, tra cui quelli del Partito Democratico del Popolo che vede in Kobane un punto strategico che non può essere perso, pena la fine del processo di pace. Lo stesso Ocalan ha detto di voler attendere il 15 ottobre ed eventuali azioni del governo turco per decidere se fermare i negoziati. I rappresentanti politici curdi in Turchia puntano il dito contro il governo che resta a guardare e si difende parlando dell’accoglienza umanitaria di decine di migliaia di rifugiati dalla Siria. Ma i curdi si aspettano altro: portare aiuti umanitari a Kobane, ma anche armi.
Nei giorni scorsi la rappresentanza curda a nord della Siria ha detto di aver incontrato ministri turchi che hanno promesso un intervento, ma ad oggi quelle promesse restano inevase. La Turchia punta solo sulla no-fly zone e la zona cuscinetto per garantire la sicurezza del confine e su un intervento della Nato. Questo però isolerebbe ancora di più Kobane.

Quanto accade oggi può riaccendere la questione curda in Turchia, alla luce delle spinte autonomiste curde in Iraq e Siria?

In realtà la questione curda non si è mai spenta. Quando Ocalan e il governo hanno dichiarato l’avvio del dialogo (che ufficiosamente avevano anche prima), due anni e mezzo fa, c’è stato un momento di anestesia parziale: non si sparava più e i guerriglieri del Pkk si spostavano verso il nord dell’Iraq. Ciò non significa che la questione si sia risolta: la presenza dell’esercito a sud e le spinte autonomiste non sono cessate.
Con la guerra in Siria, la nuova esperienza messa in piedi dai curdi siriani ha attirato l’attenzione di quelli turchi e permesso l’inizio di una collaborazione. Ci si incontrava, si discuteva, si condividevano esperienze per creare prospettive future di autonomia. Con l’attacco dell’Isis, c’è stato uno stop. Ma la questione curda resterà irrisolta fino all’autonomia reale.