La storia politica di due personaggi oggi particolarmente esposti sulla scena internazionale, non può che svelare aspetti più generali dei propri paesi e indagare, infine, la produzione politica avvenuta in alcuni stati – per molti versi simili ad altri – negli ultimi trent’anni.
Erdogan, il nuovo sultano di Soner Cagaptay (pp. 271, euro 19) e Putin segreto di Vladimir Fédorovsky (pp. 223, euro 18), pubblicati entrambi da Edizioni del Capricorno, mostrano le storie di due leader politici che percorrono le scene internazionali con grande protagonismo. Le loro traiettorie ci pongono di fronte alla straordinaria rapidità tanto della loro ascesa quanto della storia di Russia e Turchia, stati che hanno visto crollare il proprio mondo politico e che altrettanto rapidamente hanno visto sorgere nuovi modelli di governance.

ERDOGAN E PUTIN sono due risposte a problematiche e a produzioni di politiche nazionali, ma sono perfettamente inseriti in quel trend di leader affermatisi mentre la globalizzazione cominciava a mostrare i segnali più deleteri. Erdogan ne sfrutterà alcuni vantaggi, basando la propria legittimazione proprio sulla crescita economica dovuta alle liberalizzazioni; Putin sarà costretto a raccogliere i cocci del liberismo sfrenato della seppure breve era eltsiniana, seguita allo sfascio dell’Unione sovietica.

ENTRAMBI SI SONO ritrovati a cavalcare la propria onda politica in una mare di macerie: Erdogan – con la Turchia in piena crisi inflazionistica – ha mandato definitivamente in soffitta la forte componente laica dell’ordinamento turco, sia in termini legislativi, sia in termini di puro potere, esautorando i militari, ultimo baluardo del laicismo di Atartuk; Putin si è ritrovato a gestire un paese uscito dal disastro sovietico, pur avendone fatto parte: la sua carriera al Kgb prima e poi all’Fsb, per quanto aumentata nella sua rilevanza dalle agiografie putiniane, hanno contribuito e non poco a fare di lui un leader capace di amicizie importanti tra gli oligarchi e di tenere sotto scacco parecchie personalità politiche russe.

Erdogan ha avuto un percorso lineare: cresciuto in un famiglia trasferitasi a Istanbul, ha vissuto la propria formazione in un quartiere stambuliota proletario, frequentando le scuole islamiche, concesse – e talvolta chiuse – dai laici al potere. Ha poi fatto carriera all’interno di forze dell’Islam politico, vivendo da spettatore le evoluzioni della Turchia, covando una rabbia interiore nei confronti dell’establishment ben rappresentato dall’esercito e dai suoi golpe, l’ultimo dei quali, quello «postmoderno», costituirà uno degli ultimi vagiti di una Turchia ormai verso il cambiamento di segno politico. La sua militanza «islamica» diventerà chiara solo dopo aver distrutto pezzo per pezzo la Turchia precedente. Particolare interessante: Erdogan si presentò alle elezioni per il sindaco di Istanbul con lo slogan «uno di voi» cavalcando con grande anticipo la rabbia populista.

UNA VOLTA AL POTERE, proprio grazie al grande consenso dovuto al suo stile populista, virerà in modo deciso verso una forma di «democrazia illiberale» – come vengono chiamate le forme politiche assunte da alcuni stati come l’Ungheria e la Polonia o la stessa Russia – rappresentando uno dei tanti esempi di involuzione autoritaria di alcune democrazie. In momenti diversi sarà in grado di purgare i militari, sostituendoli con i gulenisti, da cui ha infine «ripulito» il paese dopo l’ultimo «golpe» nel 2016.
Erdogan e Putin sono molto simili nella modalità di gestione del proprio potere, ma hanno storie diverse. Se il primo è cresciuto nella militanza dei partiti islamici che via via nascevano e venivano chiusi dalla Corte suprema turca, Putin ha avuto una carriera ben più complessa. Dopo ruoli defilati nel Kgb – anche durante la sua missione nella Ddr (sperava di andare nella Germania federale) – arriva l’occasione da vice sindaco di Leningrado. Ma deve aspettare: in quel periodo, successivo di poco al 1991 e alla disgregazione dell’Unione sovietica, i politici più lungimiranti furono quelli che cercarono di farsi notare di meno. Poi di nuovo servizi segreti: a capo dell’Fsb, ovvero quanto rimaneva, pochissimo, del Kgb.

UNA PROMOZIONE che sapeva di sconfitta e che Putin invece saprà sfruttare a proprio vantaggio quando si tratterà di tirare le fila della sua egemonia. Due esempi di potere autoritario contemporaneo – con importanti declinazioni internazionali – che non appaiono tanto distanti da potenziali evoluzioni anche di democrazie che potrebbero apparire più «solide»: in questo arco temporale di critica alla globalizzazione – infatti – la soluzione illiberale ha esercitato un fascino non solo tra i politici, ma anche tra i loro elettori.