La città dei due mari, a qualche bracciata dalla costa calabra, è esposta a tutto: «Mafia, ’ndrangheta, massoneria. E ancora: università corrotta, procura che fa parlare di sé. Un verminaio, appunto, come Nichi Vendola definì Messina qualche anno fa», dice Renato Accorinti, 59 anni, insegnante di educazione fisica in una scuola media, fondatore e instancabile animatore del Comitato No Ponte, che con la sola lista civica che porta il suo nome ha impedito al candidato del centrosinistra, Felice Calabrò, di essere eletto al primo turno. E’ finita 49,94% contro 23,88. Il candidato del Pdl, Enzo Garofalo, si è fermato al 18,47% e la 5 Stelle Maria Cristina Saija al 2,87. E’ lui, ambientalista di sinistra, la sorpresa di queste tutto sommato prevedibili elezioni in Sicilia.

Ci credevi?

Era impensabile, ma è accaduto. Nessuna città in Italia è stata sequestrata come Messina, dal dopoguerra soffocata dalle sue consorterie. Qui fino a ieri non ci si poteva avvicinare al potere, e partecipare a una consultazione elettorale era un atto di sola testimonianza. Da quarant’anni faccio politica e per trent’anni ho preso pesci in faccia. Poi qualcosa ha cominciato a muoversi, perché quando parli all’anima della gente, allora cominci a trovare interlocutori. Qui la politica è l’avamposto dei potentati.

Che non credo siano spariti.

Felice Calabrò è uno con il quale io parlo, ma dietro di lui ci sono quelli di sempre: c’è il parlamentare del Pd Francantonio Genovese, che ha in mano la città: politico, armatore, imprenditore con svariati interessi, espressione di una famiglia di democristiani che impera da sempre. Genovese si contrappone, in un cinico schema di potere, ai potentati di centrodestra. Ma nei due schieramenti i contenuti sono pressoché gli stessi. E’ stata questa, finora, l’alternanza politica a Messina.

Ma Genovese dice di essere contro il ponte.

 

E’ un camaleonte: dice quello che conviene al momento. Alle scorse regionali ha spostato 20 mila dei “suoi” voti al cognato Franco Rinaldi, con interessi in quel serbatoio elettorale che è la formazione professionale. Intervistato da Report ha detto, quasi con orgoglio, che i voti non arrivano certo dalla luna. Messina è, sì, una città dissestata sul piano ambientale, ma il vero dissesto è quello culturale. Qui il concetto di cosa pubblica si può racchiudere in una vicenda scabrosa come quella dell’azienda dei trasporti, l’Atm: 590 dipendenti, 72 milioni di debiti e solo 16 mezzi in attività per 245 mila abitanti.

Tra te e Calabrò ci sono ventimila voti di distanza. Cosa accadrà al ballottaggio?

E’ un’opportunità storica per la città. Dobbiamo crederci. Abbiamo ottenuto questo risultato con una sola lista, mentre loro ne avevano otto. Ma ho coinvolto Messina, la mia candidatura è stata sottoscritta da cinquemila persone e abbiamo lavorato come matti e senza un euro, contro potentati d’ogni genere.

E anche contro Grillo?

I 5 Stelle locali mi avevano proposto di candidarmi con il loro simbolo. Ho detto di no, ma ero disposto a un apparentamento tra la mia lista e la loro. Grillo non ne ha voluto sapere: la loro regola è andare da soli.

A proposito di regole: ti sei deciso a compare un telefonino?

Non ancora, ma se divento sindaco lo farò.