Terminati i sei episodi di Equinox, serie di origine danese targata Netflix e creata da Tea Lindeburg, cosa abbiamo visto realmente? Una tragica storia di violenza sulle donne che tragicamente si ripete in modo ciclico? Non proprio. La messa in scena di una metafisica con una legge superiore a spiegare il caos del mondo? Non esattamente. Una vicenda misteriosa che potrebbe svelarsi in un altrove che si percepisce come vicino e che, al tempo stesso, non appartiene alle regole comuni del nostro vivere quotidiano? In parte. Un semplice prodotto di genere che (maldestramente) prova a ricalcare le orme di altri titoli di successo (The Leftovers, Les Revenants, Stranger Things, Dark)? Forse. Una lunga premessa per lo sviluppo di qualcosa che sarà mostrato con una narrazione più incisiva nella seconda stagione? Non è ancora possibile stabilirlo.

DOMANDE alle quali si potrebbe rispondere più esplicitamente se fosse possibile raccontare quel progredire di puntata in puntata che dalle ombre iniziali, nelle quali tutto è ignoto ai protagonisti e agli spettatori, porta alla luce finale che dovrebbe mettere ordine, anche se poi proprio quella luce rischia di accecare e rendere indistinguibile la conoscenza di cui ci si era appena appropriati (l’abbaglio necessario per una seconda stagione). Quasi superfluo aggiungere che dando seguito a questo intento didascalico, si cadrebbe nella trappola dello spoiler. Soprattutto perché questa serie, come molte altre, proprio nei fatti che si susseguono, trae il proprio sostentamento. Mentre i personaggi e i loro tratti esistenziali restano costantemente subalterni a ciò che è accaduto in un passato remoto e prossimo e a ciò che sta avvenendo nel presente.

DUNQUE, cosa si può rivelare di non compromettente? Innanzitutto la presenza di una famiglia e il rapporto complicato tra la madre e una delle due figlie, Ida. In secondo luogo, uno strano incidente che letteralmente fa sparire una ventina di neo-diplomati, e il trauma che questo evento misterioso provoca nella psiche di Astrid, la sorella più piccola di Ida.
La ragazzina che vent’anni dopo cerca di capire una volta per tutte cosa sia veramente accaduto il giorno dell’equinozio, quando appunto un pulmino carico di studenti che festeggiavano il diploma viene trovato con soli quattro superstiti, mentre degli altri, Ida compresa, non v’è più traccia.

AL DI LÀ DELLA FRAGILITÀ di un racconto (dov’è la comunità che ha vissuto quella tragedia? Perché solo Astrid ne conserva la memoria?) che si dimena tra piccole realtà quotidiane e leggende che alludono a un soprasensibile, uno dei limiti più evidenti di Equinox è quel prendersi troppo sul serio senza alcuna concessione all’ironia. Tornando indietro nel tempo, non si può fare a meno di pensare a due serie televisive come X-Files e Twin Peaks che nella relazione tra il tragico e l’ironico hanno riformulato i codici narrativi del piccolo schermo, riportando i personaggi alla ribalta tra orrori e debolezze, sentimenti e atti di forza, rimettendo in discussione la normalità (e le norme) dell’esistenza.