Bello. L’espressione ironica di chi può essere implacabile nel suo baratro di tenerezza.. Spudorato ma con uno speciale pudore, quasi una tempesta di sensibilità in ogni gesto, nelle geometrie del corpo con cui non aveva paura di mettersi a nudo, nella musica delle parole di un qualsiasi: «Finora niente bombe se non quelle alla crema e marmellata», che appare all’improvviso in un Aprile 1999 attraversato dalla fantasia di una passeggiata a Pasqua «tra i rasoi arrugginiti», cercando una risposta al freddo che ancora scuote i giardini «tra i gelsomini grigi e i viali impolverati». «Apatia zero» – ci sorprende il verso del poeta immaginando una «lumaca turchese» nel «suono dei camion». Ma arriva una lei, stufa, esasperata a gridargli: «Smettila di essere sempre negativo» e gli ricorda Malcolm X quando diceva che «l’elenco della merda è già concluso». Meglio parlare di Capri, del suo azzurro intenso, della gazzetta rosa, degli occhi chiusi. Eccolo, dunque, Victor Cavallo, anzi Ècchelo come lo dice l’omaggio (domenica 29, alle ore 16) – giocando col titolo che raccoglie i suoi scritti e le sue poesie, Ecchime (pubblicato postumo da Stampa alternativa) – che gli dedica a vent’anni dalla scomparsa -nel gennaio del 2000 – il Teatro di Roma all’interno dell’iniziativa #TdRonline, un palinsesto di proposte digitali su tutti i suoi canali social (Facebook, Instagram e YouTube) con cui portare nelle case la scena contemporanea.

A CONDURCI nel mondo di Victor è la voce di Alessandra Vanzi, attrice, scrittrice, protagonista del teatro di ricerca italiano con la Gaia Scienza, il gruppo nato dall’incontro tra lei, Giorgio Barberio Corsetti e Marco Solari, amica trentennale di Cavallo con cui ha condiviso molte avventure artistiche. Dove ci portano queste storie sbilenche e viscerali? Dicono di lui, sono lui, rivelano l’artista, il poeta, l’immaginifico sguardo delle cantine e delle underground italiano, l’ideatore del festival dei poeti di Castelporziano, e tantissime altre cose disseminate in una scrittura dove è sempre presente col suo sentimento mai riconciliato né consolatorio, sempre collettivo, E ci raccontano un mondo perché quando lo vedevi di tutto parlava Victor meno che di sé. Quartiere Garbatella, famiglia «proletaria», come amava ricordare. Magnifica invenzione d’attore si schermiva, si sottraeva, l’ufficialità, i compromessi erano cose lontane anni luce dalla sua natura. Essere attore era come la sua vita: senza reti, dunque la libertà prima di tutto, essere se stessi, usare il linguaggio che gli apparteneva, giocare con l’umorismo, con la bellezza rivoluzionaria di un «anarcosorcosituazionista». Era la sua forza e la sua sfida. La voce di Alessandra restituisce le traiettorie di Victor, flaneur nella sua città, Roma, la strana metropoli amata e detestata, che divora da millenni nell’indolenza tutti coloro che passano tra le sue strade quasi come un’alzata di spalla.

LUI CI ERA legato intimamente, vi apparteneva, romanista appassionato (negli spettacoli c’era spesso la sua squadra del cuore), ne conosceva le notti infinite e sfasciate, l’anima ubriaca, i personaggi comici, tristi, che vagabondano nei giardini aperti di un’«estate storta». Che sono «acqua che passa», «un soffio mischiato al gas deserto rumore di pioggia capelli biondi». Pian piano seguendo la sua chioma arruffata scopriamo una«dolcezza micidiale» – la sua? E «belle fiche delle curve notturne», cocomeri quasi antropomorfi, «il peso di una foglia in un dormitorio di immondizia». «A immaginare una vita ce ne vuole un’altra già pronta a disperdersi a non restituirsi niente … sembra di scherzare a notte fonda e solitaria …» dice ancora Victor. Parola (e desiderio) resistenti.