Nel pantheon dei musicisti sovversivi, rumoreggia un piccoletto, barba ieratica e basco rosso, con la sua sedia di legno robusto, purtroppo volato da quelle parti nel 2011. A poco più di dieci anni dalla sua scomparsa, è arrivato il momento giusto per rivisitare il suo canzoniere, per riascoltare alcune sue composizioni note «antichissime e modernissime», per rivestire con arrangiamenti originali il lascito di Enzo Del Re, poeta proletario, cantastorie pugliese che ha messo in musica detti, proverbi, espressioni dialettali, canti di lavoro lottando per tutta la vita contro l’ignoranza e lo sfruttamento di operai, braccianti, contadini. I più giovani l’avevano scoperto, sul palco del Primo Maggio a Roma, quando aveva eseguito Lavorare con lentezza, un provocatorio inno contro i padroni (si chiamavano così, negli anni 70, gli imprenditori arricchitisi sulla pelle dei lavoratori) che impongono ritmi di lavoro meccanizzati e disumani. Figlio di un esportatore agricolo, il papà Vitantonio, che componeva versi satirici e appuntiti in dialetto, per le cerimonie del paese col bambino Vincenzo pronto a esibirsi in canti napoletani e pugliesi, in piazza davanti al pubblico della cittadina, a innamorarsi di suoni e filastrocche.

Figlio di un esportatore agricolo, il papà Vitantonio, che componeva versi satirici e appuntiti in dialetto, per le cerimonie del paese col bambino Vincenzo pronto a esibirsi in canti napoletani e pugliesi, in piazza davanti al pubblico della cittadina, a innamorarsi di suoni e filastrocche.

IL SUO CONCEPT-ALBUM, Maul del 1972 – dedicato a Mola di Bari, sua città natale, paese di mare e di tufo, patria di saporiti carciofi (lui li chiamava «i fiori di Maul», anche Neruda ne aveva cantato le lodi «il dolce carciofo, lì nell’orto vestito da guerriero, brunito come bomba a mano») – viene rilievitato, come una di quelle magnifiche pagnotte caserecce, da Vito «Forthyto» Quaranta, musicista e didatta, cresciuto nello stesso paese, in grado di captare la ricchezza di assonanze e rimandi presenti nel dialetto locale e nell’opera del banditore barese, di dare nuova linfa a queste canzoni con l’aiuto di un gruppo formato da Marinella Dipalma voce, Giorgio Vendola al contrabbasso, Francesco De Palma alle percussioni, Vincenzo Abbracciante alla fisarmonica e lo stesso Forthyto (giunto al quarto album) voce e chitarra.
Forthyto rilegge Maul di Enzo Del Re (cd+libretto, formato 14×14, pp. 56, con foto e i disegni di Gianni Castellana, Squilibri, euro 20, con testi originali e tradotti, promosso da Luciano Perrone e Vito Quaranta, approvato dal Consiglio Regionale della Puglia all’interno della sua linea editoriale «per il lavoro di ricerca storica, fonetica e musicale della sua meravigliosa terra, Mola di Bari» e «per aggiungere un tassello alla sua meritata valorizzazione» scrive Loredana Capone, presidente dell’assemblea). Operazione delicata e difficile, brillantemente risolta nel rispettare le caratteristiche originarie, con l’avvio tamburellando e con l’aerofono a ricamare su alcuni cavalli di battaglia come I prete o dando una energica veste blues a Marà Luéise e inventando una tranquilla struttura armonica per l’indimenticabile Scitterà. Fino all’ironico, quasi litania religiosa, invocazione stradaiola, Te iadore e te rengrazzie, nel filone di quel folk popolare dalla parte degli oppressi (come Padrone mio ti voglio arricchire di Matteo Salvatore o Qua si campa d’aria di Otello Profazio), denuncia pesante, una dirompente carica trasgressiva col duetto Vito-Marinella per l’icastico finale liberatorio.

A «MAUL» DEL RE fece seguire una grande opera folk La leggenda della nascita di Mola. Ovvero, storia del toponimo di Mola in cui si ricostruisce l’origine del nome della città, con la sua storia antica, quel posto dove ha finito per tornare e ritirarsi. Quel posto dove ogni anno si danno appuntamento musicisti e cantanti di diversa estrazione, per omaggiare il genio di un solitario anticipatore di tempi e stili ancora da venire, in una rassegna intitolata proprio Maul.