«Cos’è immagine? Chi potrebbe spiegarla in modo facile e breve? Chi riuscirebbe a pensarla e a dirne nello stesso momento? Eppure, quale parola più familiare e nota, se non immagine, ricorre nel parlare? Quando siamo noi a dirla, certo intendiamo, e intendiamo anche quando sentiamo dirla da altri». Si sarà riconosciuto il celebre dubbio che Agostino nelle Confessioni (XI, 14) espresse sulla possibilità di pensare e dire il tempo.

UNA FRASE che funziona anche con la parola più comunemente usata per indicare il mondo del visibile: immagine. Perché, in effetti, cosa sappiamo veramente dire e cosa possiamo davvero pensare dell’immagine? So che se apro gli occhi vedo un’immagine e so che se chiudo gli occhi l’immagine c’è ancora; e so quando un’immagine mi ha fatto ridere o commuovere; so addirittura di averla dimentica, se improvvisamente mi riappare; e so che mi piacerebbe poter vedere un’immagine e che posso andarla a cercare. Dunque posso dire di certo che l’immagine è qualcosa che c’è e nello stesso momento tende a non esserci.

QUELLA CHE ORMAI è un’aperta parodia del ragionare di Agostino sembra funzionare. Perché in fondo è proprio vero che la nostra sensazione dell’immagine tende a diventare qualcosa di immateriale. Chi desiderasse confrontarsi con questa difficoltà, troverebbe di certo soddisfazione a misurarsi con un libro che Tiziana Migliore, semiologa e critica d’arte, ha scritto sull’esperienza visuale. Il saggio si intitola I sensi del visibile e ha come sottotitolo Immagine, Testo, Opera (Mimesis, pp. 218, euro 20).
Una tripartizione che non ha davvero nessuna intenzione di nominare tre cose diverse (come se a quelle parole corrispondessero cose) ma che sembra piuttosto voler dare un nome a tre diverse attività che spontaneamente si compiono quando stiamo lì a guardare qualcosa.

LA REVISIONE del lessico con cui si è soliti descrivere il mondo visuale è l’operazione più evidente che conduce l’autrice. E infatti, la parola testo sembrerebbe appartenere a tutt’altro ambito che non a quello della visione, se non fosse che con esso si intende la percezione di quel reticolo di associazioni e dissomiglianze che si attiva ogni volta che si guarda. L’azione che permette di sentire il testo è quella del tessere o del testare; e non c’è altro modo di chiamare questo processo di esplorazione dell’esperienza, sebbene testo rimandi più abitualmente alla concreta tessitura della scrittura. Ma l’aspetto decisivo è riuscire a pensare al fatto che il testo non è un oggetto, e neppure è il termine generale con il quale si indica ogni singolo prodotto che è azione di tessitura.

TESTARE significa più precisamente mettere in relazione il sé che percepisce con l’insieme dei segni che sono «leggibili», cioè percepibili nel momento in cui si fa esperienza. Allo stesso modo opera non andrebbe inteso come quell’oggetto che si distingue da altri pur essendo tutti il prodotto di un operare analogo seppur non identico, ma invece come ciò che rende possibile e riscontrabile l’attivarsi di una reazione nel momento il cui si vede l’opera.
Come dire che l’opera non va solo intesa come esito dell’operare (magari bene) ma anche come ciò che spinge a operare e per questo opera su chi la guarda. Ancora una volta, il nome si trasforma in verbo, la cosa in azione.

Infine, c’è anche l’immagine, che non è mai testo né opera, perché per l’appunto immagine è quel che può essere ricordato e scambiato dell’esperienza costruita al livello dell’apparenza materiale del testo e dell’opera. L’immagine è il prodotto dell’immaginare. E con l’immagine si entra, insomma, in un mondo virtuale o semplicemente possibile nel quale l’esperienza diventa cultura e dove, per esempio, ci si scambia la memoria del nostro operare e testare. Queste definizioni, nella pratica discorsiva di Tiziana Migliore, anche se si concretizzano in un’area spiccatemente semiotica, con la stessa evidenza si formano dall’incrocio di analisi e letture compiute in diversi campi: filosofia ed estetica, teoria delle arti e, infine ma non ultimi, una buona dose di stimolanti interpretazioni di opere d’arte e letture di testi figurativi che percorrono il libro e si intrecciano con le parti più teoriche.