Pechino e Teheran sottoscrivono un partenariato della durata di 25 anni. Un rapporto asimmetrico, in cui il Leone persiano si inchina al Drago cinese. Se ayatollah e pasdaran rischiano di ripetere l’errore di quel sovrano che a fine Ottocento svendette le risorse della Persia scatenando l’opposizione, le cause sono da individuare nell’effetto congiunto della pandemia di Covid-19 e del crollo del prezzo del petrolio, ma soprattutto nel solco creatosi con l’Ue nel 2018, quando il presidente statunitense Trump si era ritirato unilateralmente dall’accordo nucleare.

Spalle al muro, i vertici iraniani sono costretti a stringere accordi con la Cina. Pechino è il loro maggior partner commerciale e a breve riuscirà a controllare buona parte delle risorse iraniane, nonché quella parte di costa che si affaccia sul Mare di Oman, strategica per il passaggio delle petroliere nel Golfo persico.

IN IRAN LE CONSEGUENZE saranno molteplici, in primis per il disaccordo interno. Lo scorso agosto il ministro degli esteri Zarif era stato a Pechino e aveva cercato di nascondere i termini dell’accordo, sapendo che gode del consenso del leader supremo. L’approvazione di Khamenei è indispensabile per far approvare l’intesa dal parlamento, ma non salva il capo della diplomazia dagli attacchi dei deputati (a maggioranza conservatori e ultraconservatori) e dell’ex presidente Ahmadinejad, che la scorsa settimana sollevava l’ipotesi che l’accordo sia «contrario all’interesse nazionale» nei settori petrolchimico e militare.

In risposta, domenica il portavoce del ministero degli Esteri affermava che non dovrebbe prevedere alcun controllo cinese sulle isole dell’Iran, né una presenza militare di Pechino. E aggiungeva: «Il vecchio trucco di mentire e diffondere false informazioni per ottenere quelle vere sul recente accordo tra Iran e Cina, tentato dai nemici delle due nazioni, non funzionerà».

IL PUNTO è proprio questo: domenica i termini dell’accordo non erano noti. Sotto attacco da parte della nuova legislatura, che lo incontrava per la prima volta dopo le elezioni di febbraio e l’inizio dei lavori a fine maggio, Zarif dichiarava che «non c’è nessun segreto», «la nazione sarà informata appena un accordo sarà concluso», aggiungendo che di un’intesa con Pechino si era parlato già a febbraio 2016 quando il presidente Xi Jinping aveva incontrato Khamenei a Teheran. Infervorati, i deputati hanno dato filo da torcere a Zarif che ha abbandonato il parlamento, accusato da tempo di avere svenduto la sovranità nucleare nel 2015 in cambio di niente.

Ieri pomeriggio i termini dell’intesa tra Pechino e Teheran sono trapelati sul sito IranWire, dove si legge di «concessioni senza precedenti nei 41 anni della Repubblica islamica».

SAREBBERO 18 le pagine del documento di un partenariato a 360 gradi: dal commercio alla sicurezza, inclusa la lotta al terrorismo, la cooperazione militare, il turismo e il sostegno delle reciproche prese di posizione nelle organizzazioni internazionali. In altri termini la Cina, membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dovrà esercitare il diritto di veto per bloccare ulteriori risoluzioni contro l’Iran. Stilata a Teheran, la bozza di intesa sarebbe arrivata a Pechino per alcuni emendamenti, ma mancano dettagli che saranno oggetto di future negoziazioni.

AL CENTRO DELL’ACCORDO ci sarebbe l’importazione continua e costante da parte cinese di energia iraniana, senza dover investire nell’industria petrolifera della Repubblica islamica ma a fronte di un utilizzo dei profitti in accordo con Pechino. Vengono siglati anche il coinvolgimento cinese nelle infrastrutture iraniane: la costruzione di autostrade e di due linee ferroviarie, una sull’asse est-ovest (per ora inesistente) e l’altra destinata ai pellegrini sciiti dal Pakistan in direzione della Siria attraversando Iran e Iraq; lo sviluppo degli aeroporti e dell’industria aeronautica civile; i collegamenti marittimi; le telecomunicazioni, dallo sviluppo della rete 5G a tutta una serie di prodotti e servizi come le piattaforme di messaggistica e i motori di ricerca, con evidenti ripercussioni per la libertà di espressione; la collaborazione in ambito finanziario con la creazione di un nuovo istituto di credito di proprietà mista e con l’utilizzo delle valute nazionali per sfidare le sanzioni del Tesoro statunitense.

L’INTESA dovrebbe prevedere anche l’impegno a non cedere a pressioni di paesi terzi, lasciando intendere le sanzioni statunitensi. Da non sottovalutare la dimensione militare. Teheran e Pechino si impegnano a collaborare nella difesa attraverso manovre militari e lo sviluppo congiunto dell’industria degli armamenti, in vista dello scadere a ottobre 2020 dell’embargo dell’Ue sulle armi convenzionali, come previsto dalla risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu successiva all’accordo nucleare del 2015.