Non bastavano quarta ondata e comparsa di Omicron, a tenere in tensione altissima il governo si aggiunge il caro-bollette, diventato nel giro di pochi giorni uno dei problemi chiave non solo della manovra ma anche dell’impostazione strategica complessiva del governo. Colpa di quelle previsioni dell’aumento dei costi dell’energia, e dunque della bollette, dal primo gennaio, da far tremare le vene ai polsi: 50% in più per il gas, 25% per l’elettricità senza interventi del governo per calmierare l’impennata. In finanziaria il governo aveva stanziato 2 mld per intervenire contro il caro bollette. Arriveranno probabilmente a 3. Ai sindacati Draghi ha parlato di ieri di uno stanziamento di 2 mld, in buona parte messi in libertà dal costo minore del taglio dell’Irpef, da investire proprio sul fronte delle bollette.

Un conto preciso al momento è impossibile perché come ripetono la viceministra all’Economia Castelli e il ministro Giorgetti, dipende in parte dalla definizione del costo del taglio dell’Irpef e dell’Irap e in parte dalla corsa dei prezzi del gas. “Di certo servono tante risorse”, profetizza Giorgetti e chiarisce subito che non sarà possibile mettere al riparo tutti: “Sterilizzare tutto è impossibile, bisogna andare su fasce e famiglie deboli e ci sono anche settori di impresa che rischiano di chiudere”. Da Bruxelles, dove sono riuniti i ministri dell’Energia, l’italiano Cingolani indica l’incognita che verrà chiarita in primavera: “Per ora andiamo sulla contingenza e mitighiamo ma non si può mitigare ogni trimestre per due o tre anni. La deadline è marzo aprile: se dovesse risultare che l’aumento è strutturale e non contingenziale dovremo lavorare su altri concetti che vanno sul costo della bolletta”.

Proprio nella speranza che l’aumento sia contingenziale e destinato a essere ridimensionato tra marzo e aprile Draghi aveva sin qui resistito a convogliare sul caro-bollette il risparmio della riforma fiscale. Lo spettro di un aumento selvaggio già in gennaio lo convincerà quasi di certo a incrementare subito l’intervento per il primo trimestre del 2022.

L’Italia, ove l’impennata si rivelasse davvero strutturale, non può affrontare la crisi da sola, così come non possono farlo gli altri Paesi del sud Europa. Ieri Italia, Francia, Spagna, Grecia e Romania hanno presentato alla riunione dei ministri dell’Energia un non paper, che sarà firmato anche Cipro e Malta, col quale chiedono un intervento congiunto dell’Europa sullo stock di gas. In concreto una manovra comune per calmierare i prezzi.

I Paesi del nord, a partire dalla Germania, si oppongono. Sono convinti che la vertiginosa crescita dei prezzi sia una contingenza destinata a esaurirsi in primavera e ritengono quindi inutile un intervento dell’Unione. La soluzione starebbe nel ricorso all’intervento “su base volontaria” che permetterebbe ai singoli Paesi di scegliere se partecipare o no. La Commissione stavolta pende a favore dei Paesi del sud Europa. “Dobbiamo vedere se fare acquisti comuni per aumentare stabilità e resilienza. Serve un accordo tra gli Stati membri in modo di garantire solidarietà in caso di crisi”, dichiara la commissaria all’Energia Kadri Simson, di fatto schierandosi apertamente a favore del non paper presentato dai Paesi del Sud.

La proposta sarà dunque inclusa nel piano strategico che la Commissione presenterà il prossimo 14 dicembre. Ma la tempesta energetica già riverbera sul quadro italiano, con Salvini che torna alla carica sul nucleare: “L’Italia non può perdere il treno dell’innovazione. Deve avviare subito la ricerca sul nucleare di ultima generazione”.