Come per l’Ilva di Taranto, sull’«impatto ambientale» e sul futuro della centrale Enel di Porto Tolle più che la politica sembra decidere la magistratura. Ieri è arrivata la sentenza che condanna a tre anni per disastro ambientale doloso gli ex amministratori delegati di Enel Franco Tatò e Paolo Scaroni, per altro nella stessa sentenza assolti per il reato di omesse cautele. Il Tribunale di Rovigo ha poi deciso l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Assolto l’attuale ad di Enel, Fulvio Conti.

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E il paradosso di un mega-impianto inquinante all’interno del Parco regionale del Delta del Po. Un braccio di ferro che dura da lustri: da una parte i posti di lavoro nell’area storicamente più depressa del Veneto; dall’altra la tutela della salute e degli assetti ambientali. La stessa ipotesi di riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle finisce per dividere trasversalmente gli stessi schieramenti politici. Insomma, in Polesine si replica quanto già visto all’epoca del petrolchimico di Porto Marghera e più recentemente con il progetto di revamping dei cementifici all’interno del Parco dei Colli Euganei.

Ieri Scaroni ha subito messo le mani avanti: «Sono completamente estraneo alla vicenda e farò immediatamente ricorso Sono stupefatto da questa decisione, come dimostrato dalle difese la centrale Enel di Porto Tolle ha sempre rispettato gli standard in vigore anche all’epoca dei fatti».

Tuttavia, il processo di Rovigo farà giurisprudenza anche nel resto d’Italia. Accoglie, infatti, la ricostruzione del pubblico ministero Manuela Fasolato che nell’aula ha argomentato in dettaglio sul nesso fra le emissioni in eccesso prodotti dalla centrale e gli effetti su Porto Tolle anche in termini di salute. Secondo la stima dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, il conto economico dei danni è impressionante: 3,6 miliardi di euro. Tant’è che in sentenza i due ex ad di Enel sono stati condannati anche al pagamento di provvisionali alle parti civili per 430 mila euro. L’inchiesta della magistratura (con i faldoni di natura scientifico-medica e la contabilità dell’impatto ambientale) verteva, in sostanza, sull’omessa installazione di tecnologie e apparecchiature. Avrebbero almeno prevenuto i danni all’area del Parco, ma soprattutto evitato il boom di malattie respiratorie fra i bambini com’è stato registrato dall’Istituto veneto dei tumori. Tatò doveva rispondere per il periodo fra il 1996 e il 2002: il pm aveva sollecitato 7 anni e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Scaroni, invece, era imputato per il triennio successivo, mentre Conti è l’attuale ad di Enel.

Giusto il 22 marzo, alla vigilia della sentenza, il sottosegretario all’economia Pierpaolo Baretta aveva visitato la centrale di Porto Tolle: «Ho preso l’impegno davanti ad istituzioni e cittadini di dare una risposta alle interrogazioni presentate dai parlamentari polesani. Il governo, entro la metà di aprile, avrà una posizione ufficiale». Non resta che attendere il cronoprogramma di Renzi…

Nel frattempo, Emanuela Munerato (senatrice della Lega Nord) ancora in autunno aveva sollecitato la demolizione delle caldaie dell’impianto di Porto Tolle: «Conversione a carbone o meno, vanno smantellati quei pezzi della centrale: un’operazione che occuperebbe un centinaio di lavoratori almeno per un anno».

Ma in attesa del processo d’appello il futuro di Porto Tolle è incardinato nel progetto di riconversione: non meno di 2,5 miliardi di investimento. A gennaio, però, la Commissione Via del ministero dell’Ambiente ha bocciato il progetto: carenze e contraddizioni impongono l’azzeramento dell’iter. Nel provvedimento, per altro, si richiamano esplicitamente le osservazioni presentate da Greenpeace, Legambiente e Wwf.

Scandisce Laura Puppato, ex capogruppo del Pd in Regione e ora a palazzo Madama: «Il progetto di accordo tra la Regione Veneto e il ministero dello Sviluppo economico è in contrasto con la prospettiva di un’economia decarbonizzata. E’ impensabile che una struttura di quelle dimensioni stia in un’area così delicata come il Parco del Delta del Po. Come sempre – aggiunge Puppato – non è solo una questione ambientale, ma anche economica. Secondo alcune stime, investendo i 2,5 miliardi previsti dall’Enel per la centrale di Porto Tolle su un mix di fotovoltaico ed eolico, si avrebbero ricadute occupazionali almeno tre volte superiori. Senza contare che le ricadute sulla salute pubblica, e sul suo costo sociale, sarebbero enormi. La strada è quella dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili come indica l’Europa».