Una sorta di momento magico per Emma Dante sulla scena lirica. Se allo stabile di Palermo la storia sembra fare un passo indietro con le nuove nomine dirigenziali (nel contesto precedente l’artista dirigeva una laboratorio per attori), l’Opera di Roma offre alla stessa Dante l’occasione di mostrare le sue variegate attitudini operistiche. Sono appena terminate le repliche di una creazione novecentesca di rara visione, che già da oggi viene ripresa la messinscena della Cenerentola di Rossini (repliche domani e poi da martedì a giovedì).

Quella favola tenera e maliziosa aveva offerto alla regista la possibilità di applicare al melodramma molti dei propri segni linguistici: un gioco fantastico dove i ruoli si sdoppiano tra canto e immagini, col risultato eccellente di mostrare in controluce il fascino e anche le perversioni di quel sudato happy end. Totalmente diversa del resto è la storia di Cenerentola e delle sue sorellacce dal grande mistero che Prokofev scrisse e mise in musica un secolo fa. Di quell’Angelo di fuoco la regia ha colto e sottolineato le risonanze ancestrali, che dal grande «mistero» mistico e popolare, si affacciano con implicazioni più o meno «demoniache» nelle esistenze umane. Un grande saggio di riflessione su un individuo e le sue ossessioni (anche quando possono sfidare la banalità del quotidiano) cui la direzione di Alejo Perez e voce e grinta di Ewa Vesin protagonista hanno reso comprensibili e a tratti perfino condivisibili visioni e conseguenti sconvolgimenti.