Matthew Hedges è stato graziato ieri dalle autorità di Abu Dhabi pochi giorni dopo la sua condanna all’ergastolo per spionaggio. Il giovane dottorando della Durham University deve dire grazie agli stretti rapporti esistenti tra gli Emirati e Londra se ha potuto lasciare la prigione. Un paracadute che spesso salva i cittadini occidentali che finiscono negli ingranaggi della giustizia emiratina. Al contrario degli abitanti che rischiano pesanti condanne se solo osano mettere in discussione le politiche di chi li governa.

Hedges, 31 anni, arrestato sei mesi fa per sospetto “spionaggio”, aveva sempre respinto con forza le accuse spiegando di aver solo svolto delle ricerche per completare il suo dottorato relativo alle strategie di sicurezza adottate dal paese del Golfo. I giudici non gli hanno creduto. Le autorità locali non hanno mai spiegato per chi avrebbe “spiato” Hedges, non certo a favore della Gran Bretagna che sa già tutto del paese alleato di ferro della politica occidentale. Dell’Iran? Improbabile, altrimenti il caso sarebbe stato denunciato con grande enfasi dagli Emirati che assieme all’Arabia saudita sono impegnati in un duro conflitto (per ora solo politico e diplomatico) con Tehran.

La moglie di Hedges, Daniella Tejada, si è detta convinta che siano state la copertura mediatica internazionale e le pressioni del ministro degli esteri britannico Jeremy Hunt e della premier Theresa May a far scarcerare il marito e a permettere il suo ritorno a casa. Non è un caso che ad annunciare la liberazione di Hedges sia stato lo stesso Anwar Gargash, il ministro degli esteri degli Emirati, che ha spiegato il rilascio del giovane accademico come parte delle grazie date a 785 prigionieri in occasione del giorno nazionale del paese. Non sono ancora noti i nomi degli altri graziati ma difficilmente includeranno quelli di coloro che sono dietro le sbarre per motivi politici o per aver denunciato violazioni dei diritti umani.

Gli Emirati come le altre monarchie del Golfo – Arabia saudita, Bahrain, Kuwait, Qatar e in misura minore l’Oman – sono sotto la lente di ingrandimento per le gravi violazioni dei diritti umani che compiono e per l’impiego di unità speciali che sequestrano e torturano sospetti oppositori. Amnesty International, nel suo rapporto del 2017, denuncia le restrizioni alle libertà d’espressione e d’associazione e l’uso di leggi antiterrorismo nei confronti di opinioni critiche non violente verso le politiche nazionali o i funzionari dello stato. Almeno 13 persone, sottolinea, sono state detenute o processate sulla base di queste motivazioni. A marzo dello scorso anno è stato arrestato il noto difensore dei diritti umani Ahmed Mansoor e la corte d’appello federale ha confermato la condanna a 10 anni di carcere nei confronti del dissidente Nasser Bin Ghaith, al quale non è stato neppure permesso di leggere il verdetto né di incontrare il suo avvocato. Un cittadino Ghanim Abdallah Matar è stato arrestato per aver postato online un video in cui esprimeva simpatie verso il popolo del Qatar soggetto dal giugno 2017 alle sanzioni decise dall’Arabia saudita e le altre monarchie del Golfo. Resta in carcere anche il difensore dei diritti umani Mohammad al Roken condannato nel 2013 a 10 anni di reclusione.