È visitabile fino al 26 novembre 2023 la prima mostra d’arte contemporanea dell’M9 di Mestre, Rivoluzione Vedova, a cura di Gabriella Belli da un’idea di Alfredo Bianchini, presidente della Fondazione Vedova. Il bellissimo museo multimediale della storia sociale, culturale, politica ed economica italiana del Novecento, aperto cinque anni fa dalla Fondazione di Venezia come distretto ponte fra l’arcipelago lagunare e la terraferma, marca la propria identità con l’artista che nel secolo scorso ha dipinto egregiamente la presa di posizione netta e la protesta contro guerre, oligarchie e dittature.

IL VENEZIANO Emilio Vedova, che con coerenza impareggiabile racconta la storia con l’arte astratta e le resistenze ad ogni abuso di potere, è destinante di un messaggio sempre valido di difesa dei diritti civili, anche ribellandosi a muri fra territori contigui: la Serenissima da un lato, il suo ingegno e i suoi fasti, la terraferma dall’altro, le ricchezze agricole, l’animo industrioso e teso alla modernizzazione. Rivoluzione Vedova risponde al tentativo di legare la città lagunare e Mestre, cioè tradizione e innovazione, che vanno a braccetto nelle società avanzate mentre contrastano in tutte le situazioni di incuria e di degrado.
Come cambiano centotrenta opere dei conflitti più atroci del XX secolo trasferendole, dal consueto Magazzino del Sale delle Zattere, a Mestre nel museo del Novecento? Già la sala della mostra, uno spazio asimmetrico di oltre 1200 metri quadri al terzo piano dell’M9, con grandi finestre direzionate verso la città e copertura a shed da edificio industriale, si presta a una risemantizzazione del discorso di Vedova. Lo Studio Alvisi Kirimoto, firmatario del progetto di allestimento, colloca in questo ambiente un’enorme struttura irregolare a forma di scheggia, che è sia il percorso della visita, sia una figura simbolica dell’impeto di Vedova, erede di Tintoretto e Piranesi ma nell’«allerta della coscienza» sulle storture del mondo. Parzialmente visibile dagli angoli dello spazio, la scheggia fa da scenario a tre installazioni poste al centro.
Entrando nella sala, l’impatto è con i centodue pezzi variamente distribuiti della gigantesca opera. In continuum, compenetrazioni/traslati ’87/’88 (1987/ 1988). Le trame di colore qui sono in negativo, ricavate da tele che Vedova ha impresso su una superficie di plastica trasparente, cosparso di bianchi e neri e maneggiato. Ne ha ottenuto un’ombra tattile su cui poi è intervenuto con gesti di rifiuto o di rinforzo.

«IN CONTINUUM», sorta di sindone laica, è un’allegoria del suo modo di lavorare. Il tema sono le notizie dell’attualità politica, già infiammate dallo sgomento e dal dolore della gente e che lui «riporta» simulando la lotta: fende l’aria a colpi di spatola, traccia linee spesse e croci, usa colori timbrici, posa grumi di materia, combinandoli con carte di giornale, oggetti e fotografie.
Preferisce al linguaggio del realismo, usato da altri artisti in ossequio agli uomini di partito, un’astrazione sintetica e concitata. La seconda zona della scheggia ospita i plurimi del ciclo Absurdes Berliner Tagebuch ’64 (1964), esposti alla Documenta III di Kassel e concepiti nel tetro studio di Berlino dove abitava lo scultore del Terzo Reich Arno Breker. Sono appesi al soffitto, inclinati o aperti fino a 280 gradi grazie a cerniere che ne guidano il movimento. La ricerca di rapporti con l’architettura contraddistingue anche Dischi (dipinti fronte e retro) e Tondi della terza area della scheggia, che destabilizzano i visitatori negando la forza di gravità dell’ancoraggio a terra.
Intorno a questi tre cicli e sulle pareti perimetrali della sala si snodano invece, per cinque decenni del Novecento, testimonianze pittoriche di dissenso. Ci sono in primis battaglie che Vedova ha personalmente combattuto, nei fogli a tempera e inchiostro, dai toni cupi e con sagome spettrali, di Diario partigiano (1945), quando raggiunge la compagine dei resistenti sull’altopiano del Cansiglio, nel bellunese, ma senza armi e con un ruolo di staffetta per le comunicazioni.

NASCE LÌ la vocazione a comunicare la storia con la pittura, per «formare e provocare scelte. Opporre alla confusione propagata sul pretesto dell’informazione, informazioni volta a volta approfondite» (lettera di Vedova al cugino Robert Barker). Dopo Diario partigiano scorrono opere documento per la Corea, contro la Spagna di Franco, su Varsavia, città del ghetto e del Patto, sull’assedio del Vietnam, la fine della primavera cecoslovacca, la guerra del Golfo, il dramma fratricida dei Balcani e l’incendio della biblioteca di Sarajevo, dove l’esercito serbo manda in fumo un milione e mezzo di libri. Il plurimo con tondi intersecati, collage e scritte donato da Vedova a quel popolo annichilito spicca in fondo al percorso. Ha per titolo un verso di Heinrich Heine leggibile a lettere capitali sulla parete prospiciente: «Chi brucia un libro brucia un uomo».