Sugli schermi del festival di Locarno ogni proiezione viene preceduta dalla frase:«Cinema is back», a metà tra la gioia di esserci – l’edizione dello scorso anno era stata annullata come avvenuto a molti altri festival – e l’augurio per il futuro (del cinema, della sala) dopo quasi due anni di buio che hanno cambiato «le regole del gioco» assai più velocemente del previsto. Una mutazione probabilmente già in atto ma che appunto la pandemia ha accelerato, potenziando enormemente il sistema (economico) dello streaming con nuovi colossi in piattaforma a scapito della fruizione in sala.

Come andranno le cose è adesso una questione aperta, ma anche per questo è molto bello in questi giorni d’estate vedere qui le sale piene; e non solo per i grandi nomi/eventi, ma anche per quelle opere prime di giovani registi, o per le scoperte del passato come la magnifica retrospettiva di Alberto Lattuada, che compongono il programma d’esordio alla direzione del festival di Giona A. Nazzaro, presenza costante, che accompagna con cura ogni film al suo debutto col pubblico, emozione per tutti quasi nuova.

«COME si vive quando non c’è un per sempre?»: è da questa domanda che comincia L’Été l’éternité di Émilie Aussel (Cineasti del presente), regista francese rivelata in passato con diversi corti – presentati in più festival internazionali – e che per l’esordio nel lungometraggio si confronta con un racconto di formazione che passa attraverso la perdita e la scoperta dei fragili e incostanti equilibri della vita. Il «per sempre» della sua domanda è quello dell’adolescenza, un assoluto nel quale la possibilità do sfumature e di cedimenti appare quasi impossibile. Per sempre o mai, tutto o niente, con l’impetuosa tempesta di un’età, forse davvero «atroce» ma che attraversa il proprio orizzonte col sentimento di essere invincibile.

È un po’ così che affrontano l’esistenza i protagonisti, «la bande» di amici, un gruppo di ragazzi alla soglia dei diciotto anni, l’estate è quella della maturità, i giorni sono un’onda di promesse: partire, restare, l’università, i viaggi, le scoperte, gli amori e gli incontri, il sesso e il desiderio. L’estate gli appartiene anch’essa assoluta; giornate al mare, scherzi, confidenze, notti senza fine. La musica, ballare, bere, farsi qualche canna, il sole, tutto è semplice, scivola veloce, nella complicità di un presente c he sembra eterno.

Lisa e Lola sono migliori amiche, una fidanzata – «Ma non ti annoi a stare sempre con lo stesso ragazzo?» – l’altra che scompare con un misterioso tipo baciato ballando – «Non abbiamo fatto sesso ci sentivamo divini» racconterà il giorno dopo alle amiche che ridono. Poi accade qualcosa di impossibile, che nessuno sa come affrontare: la morte che è una rottura, la separazione del dolore che li porta lontani, ognuno per sé. Lisa incontra alcuni ragazzi più grandi, come lei hanno conosciuto un vuoto inatteso, il lutto con cui lottare per ritrovare il senso alla vita.

È DUNQUE il cammino attraverso la scomparsa di qualcuno amato che racconta il film di Emilie Aussel, autrice anche della sceneggiatura insieme a Emmanuelle Bayamack-Tam e Yacine Badday, in una scommessa narrativa che mette al centro il cinema, la fisicità dei gesti e i movimenti delle immagini, i primi piani dei volti e la presenza dei corpi. Ma soprattutto i suoi personaggi – ai quali danno vita attori giovani e di forte intensità che hanno anche collaborato ai dialoghi. Lei presentandolo lo ha definito infatti «un film collettivo» – che occupano sempre l’inquadratura, in una dimensione che esclude gli adulti – genitori o insegnanti o quant’altro – per definire uno spazio di vita che è quello della loro esperienza, della loro ricerca di un modo per stare al mondo.
La città è Marsiglia, che diviene ugualmente un personaggio, escludendo nell’orizzonte altri che non siano i ragazzi di quell’estate e di quell’«eternità» che la abitano: nei luoghi in cui si ritrovano, nella loro solitudine, lungo i passi tra la bellezza di un cielo azzurro e del mare che disegnano la geografia del loro spaesamento, di una ferita che sarà per sempre, di una rinascita e di un passaggio.

È IN UNA REGIA che sa toccare dolcemente più toni e sfumature che Aussel scrive questi movimenti, passando dalla spensieratezza delle promesse al peso dell’infelicità, attraverso forme e tempi che danno alla giustezza delle parole la fluidità di un’ immagine che ne è complice. In cui scorre l’irruenza, l’epifania dei gesti quotidiani e di figure che appaiono all’improvviso diverse. La fine di un rapporto, un innamoramento, la scoperta di sé: ciò che si vive e che sorprende lo sguardo con dolcezza.