Settimane di dibattito, una delibera presentata e poi ritirata, le assegnazioni delle case popolari sono un fronte molto caldo a Napoli. Si tratta dell’Edilizia residenziale popolare, edifici che abbracciano tutta la periferia da est a ovest all’area nord. Quartieri come Pianura, Soccavo, Ponticelli, Scampìa. Zone dove si sommano diversi problemi: una povertà diffusa, l’arrivo di nuovi residenti scappati dai quartieri dove il mercato degli affitti è schizzato alle stelle e una forte presenza dei gruppi criminali. L’intervento pubblico ha spesso oscillato tra la totale assenza e la strizzatina d’occhio all’illegalità a fini elettorali. Per dare la dimensione dei dati, sono 17mila le domande piovute per il bando alloggi e solo 18 i dipendenti comunali di Napoli a esaminarle.

La sanatoria

La vicende ha subito un’accelerazione il 7 maggio scorso, quando la regione Campania ha pubblicato sul Burc, il bollettino ufficiale, la nuova sanatoria per chi ha occupato le case degli enti pubblici. Può richiedere l’alloggio chi si è insediato prima del 31 dicembre 2010. Nel 2012 erano già state sanate le posizioni fino al 2009. Tocca ai comuni aderire. L’ultimo provvedimento viene presentato dall’assessore Marcello Taglialatela, ex An, ex Pdl, adesso eletto in parlamento con Fratelli d’Italia. Ha atteso l’ultimo istante utile, fino allo scontro frontale con il resto della giunta, prima di optare per il seggio a Roma e lasciare liberi i cassetti a Palazzo Santa Lucia, rivendicando fino all’ultimo istante il controllo del dicastero.

Il reale elemento di pericolosità della sanatoria, rivela l’assessore comunale al Patrimonio Sandro Fucito, è tutto nella reintroduzione di un articolo, il numero 6 previsto in origine nella legge regionale numero 13 del 2000, poi abolito l’anno scorso e adesso, alla vigilia di nuovi cicli elettorali, tornato in pista. Spiega Fucito: «Molto prima del dibattito sui pax e i dico, in Campania già si faceva ricorso a concetti come affettività e assistenza per aprire le porte agli abusi organizzati dai clan. Con quell’articolo, infatti, viene sancito che persone iscrittesi per due anni allo stesso stato di famiglia, e non parenti, debbano ricevere voltura del contratto di affitto dai comuni».

L’occupazione del territorio appartamento per appartamento non è più una questione da criminali armati fino ai denti, ma da malavitosi esperti in burocrazia. Certo, a complicare la situazione c’è anche che la regione ha azzerato il contributo all’affitto, sospeso il finanziamento ai piani di riqualificazione, non contemplato l’emergenza abitativa nel suo bilancio. E allora basta pagare dai 30 ai 40mila euro ai clan per avere la documentazione cartacea, fittizia, che legittima la coabitazione e quindi il subentro nel contratto. Una cosa nota praticamente a tutti in città, difficile che possa passare inosservata al legislatore ma, si sa, nel segreto dell’urna ogni voto è buono e tra due anni si vota in regione.

Le regolarizzazioni

Il sindaco di Napoli non vuole sentire la parola sanatoria, una parte della giunta si è messa di traverso alla delibera per sanare gli abusi proposta dall’assessore Fucito, il consiglio mercoledì si è schierato con quest’ultimo e a settembre potrebbe fare proprio l’atto e approvarlo. Intanto la discussione è diventata pubblica. II dati di partenza dicono che al comune sono arrivate 4.500 istanze da trattare (che aumentano ancora se si considera anche gli Iacp) tra volture e sanatorie già dovute. A questi si aggiungano ulteriori 4mila nuclei già nel sistema delle volture. Sono tutti occupanti abusivi che hanno tolto l’alloggio agli assegnatari (la graduatoria è del 1995). Se si dovesse procedere seguendo come unico criterio la legalità, nel senso dell’applicazione ferrea della norma, ci vorrebbe l’esercito e trent’anni per sgombrarli tutti. Una battaglia campale con l’esito finale di avere nuova gente per strada, come in ogni guerra che si rispetti. «Naturalmente – prosegue l’assessore al Patrimonio – colpiremmo soltanto gli ultimi degli ultimi, quelli cioè che non frappongono un ricorso al Tar o un avvocato perché senza risorse». E allora?

Rinunciare a ogni intervento significa regalare il controllo del territorio e del mercato alla camorra, come accade già adesso. Intervenire vuol dire sporcarsi le mani, assumere l’onere della scelta. «L’unica strada – conclude Fucito – è la valutazione delle domande caso per caso. Spesso si tratta di nuclei familiari realmente poveri. Bisogna stipulare dei protocolli con procura, questura e prefettura per incrociare i dati e, nei casi dovuti, applicare le norme che già prevedono la decadenza o la non riassegnazione. Liberare gli immobili a seguito di tali puntuali ricostruzioni. Ma anche inviare gli assistenti sociali per verificare le condizioni di reddito». Dove si tratta effettivamente di occupazioni per necessità allora bisogna regolarizzare. Così gli sgomberi vengono ridotti ai casi realmente necessari. Un numero praticabile e soprattutto giusto. Bisognerebbe poi aggiornare le graduatorie con il contributo delle organizzazioni sindacali degli inquilini.

Ma è possibile davvero fare i controlli? È qui che si gioca la partita. Ad esempio la questura ha i nomi dei legittimi assegnatari di case popolari con procedimenti andati in giudicato per 416 bis, sono oltre 1.700. Poi c’è l’anagrafe comunale dove poter trarre tutti i dati e rilevare eventuali anomalie. Ma una mano deve arrivare anche dai Vigili urbani e da tutti gli enti coinvolti. Il nodo resta però l’anagrafe dei beni, riconsegnata all’amministrazione della Romeo Immobiliare attraverso svariati tir per il formato cartaceo, in excell per quello informatico. La società, a cui non è stato rinnovato il contratto, aveva persino provato a vendere il software per la gestione dei file per molti milioni. Il comune ha declinato e messo tutto in mano alla Napoli servizi, società in house a cui è stata rinnovata la convenzione (68,5 milioni l’anno per cinque anni) con l’amministrazione per occuparsi di ambiente, scuola, trasporti, arredi e patrimonio.