«In seguito alle speculazioni che abbiamo letto sulla stampa, ci teniamo a sottolineare che la decisione dell’avvicendamento alla carica di Presidente del Consiglio Direttivo di Emergency è stata maturata nell’ambito di una normale dinamica di confronto interno, teso a cercare sempre l’assetto più adatto alla crescita dell’organizzazione, come avviene ogni giorno in ogni realtà associativa». È con questo comunicato, comparso sul sito dell’associazione, che la vecchia e la nuova presidente di Emergency, Cecilia Strada e Rossella Miccio, hanno provato a stemperare le fiamme divampate dopo la pubblicazione di un articolo, su L’Espresso, che senza mezzi termini parlava di «siluramento» della figlia del fondatore, per far largo a un’assistente del padre, «impegnata nell’ufficio umanitario».

Alla base dello scontro, che avrebbe spaccato in due il direttivo dell’associazione (composto da otto persone, tra le quali lo stesso Gino Strada), la linea politica da tenere per il futuro prossimo: da una parte il ritorno a un’impostazione pacifista tout court, lontana da governi e grandi corporation, propugnato da Cecilia Strada; dall’altra l’apertura a contributi pubblici e privati, sostenuta da Rossella Miccio.
Si tratterebbe di normale dialettica interna, se non parlassimo della più grande (e conosciuta al mondo) associazione umanitaria italiana, che ha sempre avuto come carattere distintivo la neutralità rispetto a qualsiasi fazione politica e la lontananza da piccoli e grandi interessi economici.
Alla fine, nonostante la gran parte dei volontari fosse contraria ad accettare i soldi delle grandi imprese, in particolare Eni e Impregilo, la svolta c’è stata. Ed è stato per placare l’incendio che stava divampando sui social network che la ex presidente «silurata» e la nuova hanno inteso smorzare le polemiche, in attesa che si pronunci l’assemblea dei soci.

Secondo L’Espresso, tutto sarebbe cominciato tre anni fa, quando alla Partita del cuore organizzata a Firenze da Emergency per raccogliere fondi per le sue attività, fu annunciata la partecipazione dell’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi. La discesa in campo del «rottamatore» a favore dell’organizzazione non piacque a molti dirigenti, compresa Cecilia Strada, e per questo fu ritirata. Non si collabora con un governo ancora impegnato nella guerra in Afghanistan, fu la linea predominante. D’altronde, l’associazione (e lo stesso Gino Strada) a differenza di altre non è mai stata tenera neppure nei confronti dei governi di centrosinistra, e questo le ha fatto conquistare consensi e autorevolezza. Negli ultimi anni, Emergency ha cominciato a lavorare pure in Italia: ha aperto sportelli e ambulatori nei luoghi più difficili del nostro Paese, dalla Piana di Gioia Tauro a Porto Marghera.

Ad essi si rivolgono soprattutto immigrati che non possono accedere alle prestazioni del Servizio sanitario nazionale, ma con l’aumentare della povertà agli ambulatori si presentano sempre più italiani. È evidente che tale lavoro rappresenta un bacino di consenso potenziale per i politici (fatta eccezione per la destra anti-migranti) e persino per alcune grandi corporation. D’altro canto, sostenere l’impalcatura di un’organizzazione che gestisce ospedali in numerosi teatri di guerra (oltre che in Italia) e che presta ogni servizio gratuitamente costa, e i soldi da qualche parte vanno trovati. Si tratta di un dilemma vecchio quanto le ong e che ciascuna di esse risolve a suo modo.

Sempre secondo il settimanale, un altro punto di frizione, più a lungo termine, riguarderebbe la successione di Gino Strada: chi prenderà il posto del fondatore il giorno in cui abbandonerà il timone della sua creatura? In serata, il leader carismatico ha affidato la sua risposta a una nota stringata: sono solo calunnie, si è trattato di un normale avvicendamento.