Per 377 operai Embraco di Riva di Chieri sarà un natale triste e disperato. La loro vertenza partita nel 2017 con l’allora ministro Carlo Calenda che prometteva di salvarli facendoci campagna elettorale sopra sta terminando nel peggiore dei modi: un’inchiesta per bancarotta per la mancata reindustrializzazione Ventures, il fallimento dichiarato dalla curatela e la fine della cassa integrazione prevista per il 23 gennaio.
Ieri al Mise una trentina di indomiti lavoratori sono scesi da Torino per protestare per l’ennesima volta con «le prese in giro della politica e di quattro governi di fila».

Senza che neanche un sottosegretario si degnasse di partecipare, il tavolo di crisi è stato presieduto dal coordinatore per le crisi di impresa Luca Annibaletti.
«Abbiamo chiesto al ministero dello Sviluppo di sventare lo scempio che si sta perpetrando a danno dei lavoratori e di definire un percorso di rioccupazione dei 377 coinvolti», denunciano nel comunicato unitario Fim, Fiom, Uilm, Ugl.

L’ultima beffa riguarda l’utilizzo del fondo per la reindustrializzazione messo a disposizione da Whirlpool – proprietaria di Embraco e che presentò gli israeliani della Ventures come soluzione del problema – e che è stato utilizzato solo in parte per riconoscere un indennizzo ai lavoratori: «un vero e proprio scandalo – lo definiscono i sindacati – . Ci è stato ripetuto che tutto ciò che sta accadendo è conforme alla legge, poiché deriva dalla proposta concordataria avanzata dal curatore fallimentare, ma si deve trattare di una legge sommamente ingiusta se alla fine porta a riconoscere ai lavoratori licenziati appena 7.000 euro», denunciano i sindacati, contestando anche la remunerazione troppo alta del curatore fallimentare.

Sulla reindustrializzazione invece le speranze sono pochissime anche perché negli ultimi mesi l’ipotesi – appoggiata dalla viceministra Alessandra Todde – di costruire un polo dei compressori (Italcomp) con la Acc Wanbao di Mel (Belluno) è stata bocciata dal ministro Giorgetti, fantasma da mesi. «Contro Italcomp è stata fatta una scelta politica esplicita sostenendo ragioni di mercato – denuncia la segretaria nazionale della Fiom Barbara Tibaldi – ma poi per sei mesi i lavoratori Embraco sono stati abbandonati».

Il tavolo ieri si è chiuso con la promessa di «riconvocazione la settimana del 10 gennaio per varare un piano di rioccupazione e per verificare le residue possibilità di incrementare i fondi destinati ai lavoratori. Ma urge fare presto», chiude la nota unitaria dei sindacati, perché il 22 gennaio è vicino. (m.fr.)