Emanuele Gregolin ha conosciuto Testori da giovanissimo e nella villa dei genitori in cui visse il drammaturgo-critico novatese, con sottile deferenza rimanda il racconto del rapporto con lui, mentre procede per aneddoti ed episodi a narrare di sé e del proprio diventar artista; perché entrando a Casa Testori con una personale – Pagine (ciclo di pittura condotto in un quinquennio e più su pagine di giornali e riviste, soprattutto la Lettura) – sembra consapevole, novatese come Testori, di star a rivitalizzare il luogo comune, spesso evitato, del genius loci, rispettando e idealmente collegandosi in un salto generazionale come detto al più grande concittadino.
Dunque, il quarantacinquenne artista, studi multidisciplinari alle spalle, equamente e per tempi divisi tra architettura e musica, s’avvicina a Casa Testori non in punta di piedi, ma da protagonista, allestendo in un gioco di raffinati rimandi biografici con l’illustre inquilino e proprietario un percorso pittorico, di più di una ventina di opere e visitabile fino al 9 luglio, che calca la mano sia sul pedale emotivo della terribile e confusa contemporaneità (il quotidiano è per Gregolin prima cronaca e successivamente riflessione interiore ed esistenziale) sia sull’esigenza di denudare il suo modo di «far arte» rimontando come fosse un interior design il suo atelier.
Qui per l’artista s’affaccia superba e gentile, anche la personalità del collezionista di statue e maschere africane che appaiono nella scrittura espositiva della mostra come l’interpunzione di un costante modo di essere e di vivere. D’altronde, una cifra riconoscibilissima della sua pittura è l’autobiografia già ben individuata da Vera Agosti, curatrice della mostra e scopritrice di Gregolin più di un lustro fa quando venne prima coptato nel movimento Le Meduse e poi ospitato alla Fabbrica del Vapore di Milano nell’omonima esposizione. Di questo si tratta anche nel pregevolissimo volume, edito dalla Prearo Editore, che, oltre alla prefazione della citata Agosti, riproduce tutte le opere a colori accanto ad un testo di Angela Madesani. Proprio la Madesani con la Agosti nella trama e nelle tessiture pittoriche di Gregolin innestano una genealogia artistica che tenga conto sia delle affinità elettive, più volte esplicitate dalle opere in mostre (gli omaggi a Testori con una pagina del Corriere del ’93, anno della sua scomparsa, e a Lucian Freud), sia di una linea storica che iscrive nell’operazione gregoliniana, tra gli altri Klee, Mondrian, Isgrò e con vera sorpresa Hundertwasser.