Personaggio strano Elvis Perkins. Uno che sembra vivere in un mondo tutto suo, che non si lascia sopraffare dalle mode, che non cerca la fama a tutti i costi. Uno capace di scomparire senza quasi lasciar traccia di sé per anni. Sei, per la precisione. Ossia il tempo intercorso tra il suo secondo album, Elvis Perkins in Dearland, e il nuovo, terzo lavoro della sua carriera, I Aubade, uscito da poco anche in Italia e che è in procinto di far conoscere al pubblico nostrano nell’imminente tour che, tra fine ottobre e metà novembre (con un pausa di una quindicina di giorni), toccherà molte città della penisola. Alla vigilia di questi concerti lo abbiamo raggiunto per farci raccontare qualcosa di più, del disco e di sé. E si presenta così: «Salve al pubblico italiano. Il mio nome, fin dalla nascita è Elvis e forse, in parte come risultato del condizionamento socioculturale pop, ho finito per fare musica. Sono arrivato nella Grande Mela, dopo aver vissuto per la maggior parte del tempo a Los Angeles, passando per Santa Fe, Cape Cod e Providence e ora vivo nella Hudson River Valley, nello stato di New York. Come musicista ho realizzato tre album e mezzo (il primo è Ash Wednesday del 2007) e ad agosto ho finito di registrare la mia prima colonna sonora per l’esordio come regista di mio fratello Oz. Film e disco vedranno la luce a febbraio 2016». Insomma, sebbene l’ascolto del nuovo lavoro palesi una tipologia umana e artistica un po’ torva, dal mood melanconico e cupo, da questa risposta si scopre invece un lato divertente e divertito. Il discorso vira quindi, inevitabilmente, sull’album, I Aubade. Un termine che in alcuni dizionari di lingua inglese viene tradotto come «alba», «mattina», ma quel pronome personale «I» messo lì davanti e il suono della pronuncia fa piuttosto pensare a «obeyed», voce del verbo «ubbidire».

Ma qual è il vero significato? «Aubade – racconta – in realtà è una parola francese, è il contrario di una serenata, una canzone da eseguire all’alba. Nonostante recentemente venga tradotto come ‘cantare’ per qualcuno, o anche semplicemente come ‘canzone’, il significato originario denotava un brano musicale da proporre di sera. Ho imparato questa parola solo una volta finito il disco, e mi è sembrato che inquadrasse benissimo quelle che erano le mie intenzioni all’interno delle canzoni, e tra l’altro mi piaceva come suonava… sì, come obeyed. E così ho intitolato l’album in questo modo, che per me è, come il disco stesso, una forma d’espressione semplice ma estremamente complessa». Come detto questo lavoro arriva a sei anni di distanza dal precedente, anni in cui si erano perse le sue tracce, nessun profilo Facebook o Twitter, e molti hanno anche pensato il peggio. Riparte: «Avevo suonato molto dal vivo, e c’era ancora molto rumore dentro la mia testa, per cui ho sentito il bisogno di rimettere in sesto i miei sensi con un periodo di silenzio, di tranquillità. Questo ha fatto sì che il desiderio di musica crescesse pian piano, naturalmente, portandomi a lavorare su un nuovo progetto. Rispetto ai precedenti dischi qui ho fatto quasi tutto da solo, ho suonato, prodotto e curato ogni dettaglio, e ci è voluto del tempo per mettere a fuoco tutti gli aspetti. Comunque in questo periodo non sono stato completamente a digiuno di musica, ho fatto parte di una band, i Machines, il cui leader, Kristopher Perry, è anche un artista, uno scultore, e noi accompagnavamo le sue creazioni».

Sarà proprio per il tipo di gestazione «solitaria», ma I Aubade appare alquanto diverso dagli altri due album di Perkins, si percepisce una maggior intimità, quasi un mettere in mostra la sua vera anima, quasi fosse il suo vero esordio.

«Mi piace questa cosa che dici – prosegue -. E mi aspetto che anche il prossimo album suoni come fosse il mio debutto. Mentre la maggior parte dei brani vanno oltre il personale per raccontare cose che hanno a che fare con la realtà e con la fantasia, il suono riflette me stesso molto più che in precedenza, ed è pieno di cose e sensazioni particolari».

Nel disco colpisce molto il testo di un brano, My 2$. «In questa canzone – dice -ho voluto mettere in luce il potere del denaro quando viene speso e utilizzato saggiamente. Mi è capitato che quando consapevolmente scegli di non dare i soldi ad imprese che operano non preoccupandosi di concetti come moralità, salute ambientale, diritti umani e animali allora il simbolo essenzialmente senza senso di una moneta o di una banconota acquista un doppio valore e significato. Il denaro sottratto ad aziende come McDonalds e Coca Cola, disastrose dal punto di vita ambientale e nutrizionale, serve a mitigare la loro influenza corrosiva sulla nostra vita e può essere investito in piccole realtà responsabili e sostenibili e in fattorie biologiche».

Un aspetto, quello sociale, molto presente in Perkins e quindi il discorso va sulla politica Usa interna e internazionale. Continua: «Come molti americani quando fu eletto Obama sono rimasto molto toccato ed ero pieno di speranze. Durante questi anni una sfiducia costante e generale nelle istituzioni, nel processo politico e nei nostri politici, ha più o meno spazzato via quel sentimento. Io penso che lui sia sincero nel voler cambiare alcune cose, ma probabilmente e evidentemente, è stato ostacolato da forze e interessi sotterranei, alcuni noti, altri sconosciuti al ‘popolo’. Credo che la sua concezione su cosa avrebbe dovuto essere un presidente e di quali fossero esattamente i suoi poteri sia stata ribaltata già dal primo giorno di insediamento alla Casa Bianca. Personalmente non penso che mi venga offerto un quadro chiaro e completo di quello che succede con il mio governo al punto di poterci investire più del necessario in energia e emotività. In questo periodo più che pensare a quello che succederà preferisco concentrarmi su quello che vedo e guardare oltre. Ad ogni modo Obama ha il mio appoggio sulla questione dell’oleodotto Keystone XL sulla quale ha posto il veto e per la quale mi sono fatto arrestare volontariamente durante una protesta proprio davanti alla Casa Bianca (Obama ha posto il veto sulla legge che autorizza la costruzione del megaoleodotto per portare il greggio derivato dalle sabbie bituminose dal Canada – una delle peggiori fonti di energia per il pianeta e per l’ambiente – alle raffinerie texane, ndr), e di sicuro non supporto una politica estera che prevede omicidi di massa di popolazioni civili attraverso l’utilizzo di droni militari».

Non si può concludere un’intervista con Elvis Perkins senza toccare un argomento particolarmente sensibile: i genitori. Perkins è figlio di Anthony, il celebre attore protagonista, tra i vari, del film Psycho di Hitchcock e scomparso nel settembre 1992 per le conseguenze dell’Aids, e di Berry Berenson, nota fotografa morta nell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre. «Figlio d’arte? – dice -. Alla fine i miei genitori sembravano molto più dei bohémien e la loro notorietà non ha mai avuto spazio in casa. Per me non erano altro che la mia famiglia, semplicemente, nulla di straordinario. Stare accanto a loro, avere davanti a me il loro esempio e il loro sostegno, osservare e partecipare alla creazione di qualcosa, ecco, in questo senso il loro essere artisti ha influito in maniera incredibile sulla mia crescita come autore e performer».