Durante gli anni difficili della guerra (Londra semidistrutta dai bombardamenti tedeschi) e del dopoguerra (razionamenti prolungati e crisi occupazionale) ovunque, anche in clandestinità, trionfa la swing music – espressione forse coniata da un dj inglese per la Bbc – ovverosia una forma di jazz piacevole che, come accade con il precedente hot, fra il regale parentado incontra i favori di una giovane Elisabetta, la quale, già temprata dagli orrori bellici – volontaria negli ospedali, guidatrice di jeep, cavallerizza provetta – impara anche i balli all’americana, stando almeno a un filmato muto dell’epoca, che la mostra danzare, assieme a sorella e amiche, tra movimenti sbarazzini e passi divertiti. Poi arriva, per Elisabetta, il matrimonio, il trono e gli obblighi di corte, che vengono da lei via via «modificati», seguendo pure i gusti del momento: e, per settant’anni, ci saranno inviti a corte per tanti personaggi dello spettacolo! Le fotografie e i documentari – riguardanti gente di cinema, teatro e musica pop, rock, jazz, classica, fare l’inchino di fronte alla donna incoronata e ingioiellata – sono da inserire in un immaginario sociale collettivo, che è proteso fra tradizione e rinnovamento, mitologia e attualità.
E il jazz? Nel corso del XXI secolo, in quanto a iniziative, Elisabetta, risulta il capo di stato più «jazzy» al mondo, seconda solo all’afroamericano Barack Obama, per ovvi motivi: ad esempio il 10 ottobre 2002 il pianista afroacanadese Oscar Peterson suona per lei alla Roy Thomson Hall di Toronto e a fine concerto si congratulano a vicenda, informalmente. Nel novembre 2009 il sassofonista afrobritannico Courtney Pine riceve dal principe di Galles, per conto della regina, la CBE (onorificenza dell’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico) a Buckingham Palace, dove già nel 1919, davanti ai reali, giunti da New Orleans, si esibiscono gli italoamericani dell’Original Dixieland Jazz Band. Nel luglio 2019 il contrabbassista afrolondinese Gary Cosby riceve dalle mani di Elisabetta la Medaglia per la Musica con udienza privata, sfociata in un colloquio amichevole, dove, come egli racconterà, la monarca entra in un’analisi dettagliata sull’amplificazione degli strumenti acustici nei concerti dal vivo, ricordando altresì la vicinanza con Duke Ellington (amico personale del duca di Windsor).

ARRIVA IL BANDLEADER
Tutto infatti risale al 1958 quando, a un festival nello Yorkshire, il «duca» washingtoniano viene presentato alla sovrana, con la quale si intrattiene molto cordialmente: qualcuno sostiene addirittura corteggiandola con l’indiscussa eleganza del bandleader dall’appellativo nobile in virtù dei modi di fare signorili, perlopiù estranei al microcosmo swing o bebop. Pare che, tornando in albergo, quella stessa notte, Ellington delinei i movimenti della Queen’s Suite che, incisa con l’orchestra al completo l’anno successivo, viene riversata su disco, in esemplare unico, e inviata a Sua Maestà, con il tassativo divieto di pubblicarlo in vita. La «Suite della Regina» consta di sei episodi ispirati a fenomeni naturali, visti durante i viaggi del musicista: lo stupendo Sunset and the Mocking Bird si basa richiami di uccelli sentiti per caso in Florida (con il clarinetto di Jimmy Hamilton in evidenza), un altro brano tratteggia espressionisticamente l’aurora boreale ammirata dal ciglio di una strada canadese, mentre un balletto di centinaia di fulmini, accompagnati da un coro di rane toro, è il ricordo di una passeggiata lungo il fiume Ohio. La Queen’s Suite vanta appunto una prominenza dei clarinetti, la cui legnosità rafforza il tema della natura, come nel movimento Apes and Peacocks, che si rifà ai tributi annuali elargiti al biblico re Salomone: meraviglie naturali presentate per la gioia di un leggendario monarca che in musica diventa un esplicito omaggio a un’altra monarca, giovane e raffinata. The Queen’s Suite viene poi inserita, tre anni dopo la morte di Duke, su lascito testamentario, nell’album The Ellington Suites edito dalla Pablo Records nel 1976 con grande successo di pubblico e critica.