La biologa olandese Elisabeth Bik ha appena vinto il John Maddox Prize, un prestigioso riconoscimento attribuito dalla rivista Nature per aver «difeso la scienza con coraggio e onestà nonostante la forte ostilità». Nel 2021, Bik è stata protagonista di una dura controversia contro Didier Raoult, il medico francese sostenitore dell’uso dell’idrossiclorochina contro il Covid-19, oggi smentito da numerosi studi. Bik ha portato alla luce la condotta discutibile di Raoult, uno degli scienziati ritenuti più autorevoli nel campo della microbiologia, tra conflitti di interesse, studi clinici irregolari, manipolazione dei dati e falsificazione delle ricerche.

Il medico non ha mai risposto nel merito, ma le accuse sono state confermate da successive indagini, che hanno condotto a sanzioni da parte dell’ordine dei medici francese. L’affaire Raoult è solo uno degli scandali fatti emergere da Bik. Dal 2013 a oggi, Bik ha identificato quasi 5 mila studi “sospetti” regolarmente pubblicati in letteratura scientifica, con dati e grafici manipolati o inventati. L’attività di «investigatrice scientifica» l’ha portata ad abbandonare la ricerca accademica e dedicarsi a tempo pieno a scoprire le frodi scientifiche.

Professoressa Bik, l’interesse per le frodi è nato da un’esperienza diretta?

È un tema che mi ha sempre affascinato, e oggi vengo ingaggiata come consulente da editori o università che intendono approfondire situazioni dubbie. Ma tutto è iniziato da un episodio personale risalente al 2013, quando per caso mi accorsi che un mio articolo era stato copiato proprio da un ricercatore italiano. Ed è successo anche nel mio stesso gruppo di ricerca all’università di Stanford. Mi accorsi di qualcosa che non andava nel lavoro di un mio collaboratore, che non gradì molto i miei commenti. Alla fine riuscii a impedire che quella ricerca fosse pubblicata.

Uno scienziato può essere scorretto in modi diversi: può commettere una frode scientifica, appropriarsi del lavoro altrui o nascondere un conflitto di interesse. Qual è più preoccupante?

Il più dannoso è la frode: studi che riportano esperimenti mai realizzati o con dati falsificati allo scopo di ottenere un certo risultato. Sono un problema perché altri ricercatori proveranno a replicare quegli stessi esperimenti senza riuscirci. E così sprecheranno un sacco di tempo e di denaro, perché la scienza costa molti soldi. Spesso i finanziamenti coprono progetti che durano tre o quattro anni, e magari un anno viene perso nel tentativo di riprodurre un risultato atteso.

Cosa l’ha indotta a esaminare il lavoro di Raoult?

Un insieme di elementi. Come microbiologa conoscevo bene il suo lavoro. Raoult è sempre stato celebre per la sua prolificità, ha pubblicato migliaia di articoli scientifici. Dopo aver letto i suoi studi, in un articolo sulla rivista Science lessi che è considerato uno scienziato piuttosto prepotente con i suoi collaboratori, e che non è piacevole averlo come superiore. Dai miei studi sulle frodi scientifiche, ho imparato che questo è il tipo di situazioni in cui tipicamente nascono le frodi scientifiche: se il tuo capo ti mette sotto pressione fino alle lacrime, e un esperimento a cui stai lavorando non dà i risultati sperati, sei tentato di far tornare i conti solo per fargli piacere. È una situazione tipica. Così mi sono messa a esaminare i suoi articoli, concentrandomi sulle immagini di virus e microbi. In alcuni, ho trovato immagini che sembrano manipolate, con elementi che sembrano copiati e incollati. Altri scienziati mi hanno segnalato altri aspetti poco etici delle sue ricerche. Li ho segnalati sul sito Pubpeer, usato dagli scienziati per commentare le pubblicazioni scientifiche. Lui è diventato aggressivo e ha iniziato a molestarmi su twitter, ma non ha mai risposto nel merito. Attualmente i sospetti riguardano oltre trecento suoi articoli scientifici pubblicati.

Segnalare le ricerche truccate serve a qualcosa?

Generalmente, pochi rispondono ai commenti di Pubpeer. Tra il 2013 e il 2015 ho passato al setaccio circa ventimila articoli, e ne ho segnalati circa ottocento alle riviste su cui sono stati pubblicati per sospetti di frode o altri problemi. Sei anni dopo, circa il 60% di quelle email non ha ricevuto risposta. Non è un bel segnale. Ora uso di più i social network per le segnalazioni.

Non c’è il rischio della gogna mediatica?

Tento di usare i social network per evidenziare le ricerche sospette senza puntare troppo il dito contro gli autori. Ovviamente a volte è difficile. Penso che sarebbe meglio se queste discussioni non si svolgessero in pubblico, ma l’esperienza mi dice che molte segnalazioni verrebbero ignorate. I social media sono spesso l’unico modo per dare visibilità a questi casi. Non voglio paragonare le frodi scientifiche alle molestie sessuali, ma per il movimento #metoo ha funzionato così. Tutti erano al corrente di episodi di sessismo, ma molti si giravano da un’altra parte e nulla cambiava. Solo quando il movimento #metoo ha avuto spazio sui social media ha ottenuto risultati concreti.

Ora è conosciuta e temuta: viene ancora ignorata?

Meno di prima, ma capita. I cambiamenti richiedono tempo. L’Office for Research Integrity, che negli Usa vigila sull’onestà dei ricercatori pubblici in campo biomedico, non mi ha mai risposto, ad esempio. Ma ora faccio meno segnalazioni, perché è un lavoro molto faticoso che richiede tantissimo tempo, anche per l’enorme numero di segnalazioni che ricevo.

Significa che le frodi non sono eccezioni, ma un problema endemico per la comunità scientifica?

Molti episodi riguardano il comportamento di singole persone. Ma c’è anche un aspetto più strutturale perché pubblicare tanti articoli scientifici per un ricercatore è sempre più importante. Se ai dottorandi si chiede di pubblicare un numero minimo di pubblicazioni, è chiaro che li si spinge a truccare i dati per ottenere i risultati richiesti. In alcuni paesi il problema è sistemico: in Russia e Cina, per esempio, esistono vere e proprie fabbriche specializzate nella produzione di false ricerche. In Cina ai medici che vogliono lavorare negli ospedali più prestigiosi sono richieste pubblicazioni scientifiche ed è difficile allo stesso tempo occuparsi dei pazienti e svolgere ricerca. Quindi le comprano.

Le ricerche sul Covid vengono pubblicate nel giro di pochi giorni, mentre normalmente ci vogliono mesi di revisione. Molte ricerche vengono semplicemente divulgate su Internet dagli stessi autori, senza alcun controllo. C’è più spazio per le frodi a causa della pandemia?

Non credo che le frodi siano aumentate a causa della pandemia. Ci sono stati molti studi di bassa qualità e anche episodi gravi e molto rilevanti: oltre al caso Surgisphere, anche gli studi sull’ivermectina sono risultati falsificati. Ma ci sono stati molti più occhi a vigilare sulle ricerche.

Dopo aver scoperto così tante frodi scientifiche, è ancora appassionata dalla scienza?

Assolutamente sì. So che la ricerca scientifica non è sempre meravigliosa, ma la scienza mi appassiona quanto e più di prima. Spero che il mio lavoro contribuisca a migliorarla. La scienza è il modo migliore che abbiamo a disposizione per affrontare i problemi globali, come il cambiamento climatico e la pandemia. Abbiamo bisogno della scienza per rendere il mondo un posto migliore.