Nessuna sorpresa: dalle elezioni delle regioni ribelli ucraine, escono confermati dal voto gli attuali «facenti funzione« di leader delle due Repubbliche, Aleksandr Zakharcenko e Igor Plotnitskij. Zakharcenko ha raccolto più di 765mila voti (oltre l’80%), contro i circa 112mila del vice Presidente del parlamento di Novorossija Aleksandr Kofman e i 93mila del deputato del Soviet repubblicano Jurij Sivokonenko. Per Plotnitskij hanno votato oltre 445mila elettori (63,8%); gli altri due candidati a Lugansk hanno raccolto rispettivamente il 10 e il 7,2%.

Per quanto riguarda le liste, vincitrice «Repubblica di Donetsk», capeggiata da Zakharcenko, votata da poco meno di 663mila elettori; «Pace a Lugansk» capeggiata da Plotnitskij, ha raccolto il 70% dei consensi. Roman Ljaghin, Presidente della Commissione elettorale centrale di Donetsk, ha dichiarato che questa non cercherà il riconoscimento del voto: «Kiev deve mettersi l’animo in pace: il Donbass non fa più parte dell’Ucraina. Questo è un’assioma». Attesa per oggi la cerimonia di insediamento di Zakharcenko. Ma i dati numerici non rendono probabilmente conto della partecipazione popolare alla elezione dei deputati e dei Presidenti delle due Repubbliche. Le code – alcune di diverse centinaia di metri – fuori dai seggi che hanno «scioccato» (termine ripetuto per l’intera domenica dai canali televisivi russi) gli osservatori stranieri, testimoniano della volontà di partecipazione e, al tempo stesso, una risposta a Kiev, Washington, Ue e Osce che, mentre continuano a esaltare la «democraticità« del voto del 26 ottobre per la Rada suprema, rifiutano di riconoscere questo del 2 novembre nel Donbass, considerato invece valido da Mosca.

Se Kiev ha intenzione di dichiarare «persona non grata» gli oltre 70 osservatori stranieri (italiani, cechi, tedeschi, americani, russi, austriaci, greci, serbi, bulgari, ecc.), questi, da parte loro, hanno rilevato la perfetta organizzazione, la democraticità e legittimità della consultazione, esprimendo il parere che «non la guerra sia la strada da seguire, ma la federalizzazione dell’Ucraina». «Ho visto persone felici di andare a votare e orgogliose di farlo. Il sistema di voto è stato assolutamente legittimo e corrispondente alle norme della democrazia», ha dichiarato alla Tass l’eurodeputato italiano Fabrizio Bertot. Il voto si è tenuto in una giornata tranquilla – il vice premier della Repubblica di Donetsk Andrej Purghin, intervistato da Rossija 24, ha attribuito il silenzio delle artiglierie di Kiev alla presenza degli osservatori stranieri – e sono stati liquidati senza difficoltà un paio di tentativi di infiltrazione da parte di sabotatori equipaggiati con armi pesanti. L’età minima per votare era di 16 anni; esclusi dal voto i miliziani affluiti nel Donbass da altre regioni, mentre a quelli impegnati in prima linea, i seggi sono stati portati direttamente sul fronte. Alcune decine di migliaia di profughi hanno votato nei seggi allestiti nelle regioni confinanti russe di Rostov sul Don, Voronezh e Belgorod.

Sventati vari tentativi di hacker ucraini di interferire sul voto elettronico. Il commento del Ministero degli Esteri russo, riportato dalla Tass, è stato che gli eletti nel Donbass hanno ricevuto dagli elettori un mandato per il ripristino della pace, sottolineando la necessità di intraprendere passi concreti per il dialogo tra Kiev e i rappresentanti delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, sulla scia degli accordi di Minsk.
Nella mattinata di ieri le artiglierie di Kiev hanno ricominciato a bombardare Donetsk e nel Donbass non si smette di temere l’inizio di un’offensiva governativa, dopo il sensibile spostamento a destra dello schieramento politico uscito vincitore il 26 ottobre. Uno schieramento che, come dichiarato dal Segretario del Pc ucraino Petr Simonenko, ha ancora all’ordine del giorno un passo tanto politicamente reazionario quanto psichiatricamente assurdo, la messa fuori legge dell’ideologia comunista. Nessuna sorpresa dall’Italia: al contrario di quanto avvenuto nel recente passato – Kosovo dice niente? – Roma, per bocca del neo ministro degli esteri Gentiloni, ha specificato di non riconoscere le elezioni del Donbass.