Era certo difficile pensare che il cambiamento fosse alle porte; tuttavia, i sondaggi lasciavano spazio a un certo ottimismo: sembrava che la destra, benché in grado di formare una coalizione di governo, avrebbe ottenuto un risultato modesto, in grado di ridimensionare il prestigio di Netanyahu.

Ma è andata altrimenti. Netanyahu si è recato a Washington denunciando che l’Iran e Hamas minacciavano l’esistenza dello Stato ebraico.

E poi se la sinistra avesse vinto in Israele a quel punto anche Isis avrebbe minacciato l’esistenza dello Stato ebraico e l’unico in grado di affrontare tutti questi Hitler di turno era ovviamente lui, la grande guida.
Le opposizioni del fronte anti-Bibi balbettavano timide richieste di riforme in campo economico-sociale e il premier rispondeva che in primo luogo doveva tutelare le nostre vite. Nessuno ha sfidato sul serio la politica della paura.

La destra razzista ha ottenuto il minimo necessario per entrare in parlamento; il suo intento era chiaro: lasciare i palestinesi israeliani senza rappresentanza. La risposta è stata una problematica unità fra partiti molto diversi – in risposta a una legge che ha caratteristiche razziste. L’unità fra i partiti arabi ha avuto un forte impatto sulla società israeliana e il leader della lista – e del Partito comunista – è diventato un leader di livello.

Ma mentre si votava, il nostro magnanimo grande primo ministro ha pubblicato sulla sua pagina facebook un appello urgente: «Molti arabi stanno votando»; come dire agli ebrei: forza, forza, andate a votare prima che gli arabi ci rubino il paese insieme alla sinistra, traditrice della patria.

Andate a votare, appoggiate il Likud perché «quelli» mettono tutto in pericolo. Consegneranno la patria al nemico, divideranno Gerusalemme, e avanti così…Che cosa non si è potuto dire anche contro i timidissimi rappresentanti del moderatissimo centro liberale?

La politica della paura ha funzionato. Predominante in Israele negli ultimi decenni, essa promette di infittire le tenebre nelle quali il paese vive. E il primo ministro Netanyahu può ora realizzare una coalizione nella quale la destra predomina con forza. Agli oltre trenta membri del Likud si uniranno i sei deputati dell’ultrarazzista Lieberman e gli otto dell’ultrà dei coloni religiosi nazionalisti, Bennet. Kahlon, che era stato allontantato dal Likud, tornerà alla grande con i suoi dieci deputati. Non rimane che incorporare i tredici o quattordici deputati di partiti ultraortodossi per formare una coalizione di ultradestra.

Con la presenza di Livni e di Yesh Atid di Lapid, la coalizione precedente non ha tenuto davvero a bada le iniziative antidemocratiche. A poco a poco sono state introdotte nuove norme che hanno vieppiù limitato le possibilità di una vita democratica reale. Si è accentuata la necessità di trasformare Israele in uno Stato confessionale ebraico, che disconosce la presenza di quel 20% di cittadini palestinesi israeliani, musulmani in maggioranza, e poi drusi o cristiani. Oggi in Israele il razzismo è all’ordine del giorno. Lieberman è solo un esempio estremo, a livello ministeriale, ma a Gerusalemme gli attacchi fisici a cittadini arabi sono una routine settimanale.

L’incitamento alla violenza da parte della destra non trova ostacoli nemmeno verbali, e il razzismo più spudorato è criticato solo dal presidente dello Stato Rivlin, una delle pochissime voci che combattono le correnti antidemocratiche ogni giorno più forti.

Per anni, il primo ministro ha mimetizzato la sua politica con la «formula di Bar Ilan», due Stati per due popoli. Come dice bene la portavoce del dipartimento di Stato americano, la dichiarazione di Netanyahu che questo è già passato, fa parte delle dichiarazioni elettorali e non deve necessariamente esser presa sul serio. Ma la realtà dei fatti va presa sul serio: negli ultimi sei anni Netanyahu non ha messo alcuna serietà nei negoziati, l’occupazione continua e un intero popolo vive sottomesso con violenza alla supremazia israeliana, privato dei più elementari diritti politici.

La destra peggiorerà – non può essere diversamente – la situazione attuale, continuerà a costruire colonie israeliane nei territori occupati e questo primo o poi porterà a nuove crisi violente. Presto o tardi il grande e magnanimo primo ministro provocherà un’altra guerra di «difesa»; l’apartheid è sempre più feroce e solo da fuori è possibile frenare il grande piromane il quale cercherà di nuovo di attaccare l’Iran, con l’aiuto dei falchi statunitensi che vedono in Obama un traditore nero.

Israele ha votato. Il razzismo si sviluppa a passi da gigante. L’apartheid fa presa sulle nostre vite e il combustibile aspetta solo la scintilla opportuna per incendiare tutto. La politica della paura domina, rafforzando estrema destra e fondamentalisti.

Adesso, senza la copertura «delicata e diplomatica» di alcuni sciocchi «moderati» come Livni, Lapid o simili, che hanno sempre contribuito a migliorare la nostra immagine all’estero, chi continua a blaterare sull’«unica democrazia» dovrà affrontare la realtà di una specie di nuovo Sudafrica, in cerca di una chiara e pericolosa egemonia regionale.