Valutazioni complesse sull’evoluzione della pandemia e convenienze spicciole di partito; corse solitarie dei presidenti di regione in cerca di conferma e leggi, Costituzione e consuetudini si intrecciano nella partita dell’election day. O meglio days perché quest’anno si voterà in due giorni per le regionali, le amministrative e il referendum costituzionale. E si voterà tutto insieme domenica 20 e lunedì 21 settembre.

IL GOVERNO, bordeggiando tra richieste opposte, ha portato anche il centrodestra nell’accordo finale. Non tutto il centrodestra perché si chiama fuori il partito di Giorgia Meloni che non ha candidati e interessi diretti in campo. Alla camera i deputati di Fratelli d’Italia si rintanano in un tiepido ostruzionismo al decreto elezioni, emendato proprio da Forza Italia per consentire il voto il 20 settembre. La Lega si astiene e si disinteressa del seguito. Il Pd fa contenti il campano De Luca e il pugliese Emiliano, non proprio due gemme della corona di Zingaretti ma comunque due caselle utili per i democratici ormai ristretti in cinque regioni soltanto. I «governatori» volevano votare senza una vera campagna elettorale, che non fosse quella già condotta in solitudine durante i mesi dell’emergenza. Saranno accontentati. Come loro anche il leghista Zaia in Veneto e il forzaleghista Toti in Liguria. Ma festeggiano anche i 5 Stelle, che vedono il voto regionale e amministrativo come un incubo – in rotta nei sondaggi e senza candidati degni di nota – e pensano di recuperare accompagnando quel voto con il referendum sul taglio dei parlamentari. O almeno di nascondere il risultato delle elezioni dietro lo scontato sì al quesito «anti casta».

LA SPACCATURA a destra non è drammatica, così come non è decisivo l’accordo nella maggioranza tra Pd e 5 Stelle (meno entusiasta Leu). I problemi veri arriveranno per tutti con la definizione dei candidati e delle alleanze. Ieri un vertice di centrodestra non ha prodotto soluzioni per Puglia e Campania, mentre i grillini hanno accusato i democratici di truccare le carte nelle Marche. In parlamento però prevale il grande alibi delle raccomandazioni del Comitato tecnico scientifico, che di fronte alla domanda semplice se fosse stato meglio votare a settembre o in autunno inoltrato ha risposto l’ovvio. Senza doversi però preoccupare di tutto quello che precede le elezioni. Con le urne fissate nell’ultimo giorno di estate per 18 milioni di elettori alle regionali (Puglia, Campania, Toscana, Marche, Liguria e Veneto) e 6 milioni in oltre 1.100 comuni, la scadenza per il deposito delle liste sarà fissata al 20 agosto. Le firme (ridotte) andranno raccolte in spiaggia senza possibilità, causa Covid, di organizzare iniziative pubbliche. Stessi limiti per la campagna elettorale, facile prevedere che le ragioni del sì e del no al referendum finiranno travolte dalla sfida per le elezioni.

Sono, quelle delle regionali, elezioni pienamente politiche, e quando la legge se ne occupa lo fa per vietare l’accorpamento tra voto politico e referendum abrogativo. Non è mai successo, ma stavolta le convenienze reciproche fanno agio su leggi e precedenti. Il referendum (senza quorum) sul taglio dei parlamentari è l’oggetto del sacrificio che ha consentito l’accordo. Ma non è escluso che il comitato promotore del quesito sul taglio dei parlamentari faccia ricorso alla Corte costituzionale contro questa prima assoluta dell’accorpamento. Il Comitato del no al taglio del parlamento intanto denuncia il rischio di un’affluenza «a macchia di leopardo» al referendum, legata alla compresenza o meno del voto regionale, con la conseguenza di un risultato per niente rappresentativo della volontà popolare.

Resta poi il problema delle scuole, che in prossimità del 20 settembre dovranno interrompere le lezioni a pochi giorni dalla attesa ripartenza. Succede sempre, ma stavolta le procedure per la sanificazione saranno prevedibilmente più lunghe. E per la regione Toscana e molti comuni c’è da mettere in conto un turno di ballottaggio ai primi di ottobre.