L’appassionante libro di Clara Dupont-Monod, La rivolta (Edizioni Clichy, pp. 216, euro 19,50) uscito in Italia nella traduzione di Tommaso Gurrieri, ci conduce nel XII secolo, nel momento in cui Eleonora d’Aquitania – regina di Francia e poi d’Inghilterra – decide di rovesciare il trono del marito, il re Enrico II (Plantageneto) con l’aiuto dei figli e anche del primo marito, il re di Francia Luigi VII.
La rivolta è raccontata dal punto di vista del figlio prediletto di Eleonora, Riccardo Cuor di Leone, la cui narrazione è puntellata di folgoranti accenni alla personalità della regina stessa, che rivela il suo imperioso ascendente. La prosa cesellata di Clara Dupont-Monod traccia il profilo di questa regina, che fu una grande stratega politica, determinata e volitiva, all’apparenza gelida nei confronti della propria figliolanza e traboccante d’amore nei confronti della propria terra: «La mia Aquitania si lacera. Angoulême chiude le porte all’arrivo di Enrico, ma Limoges gli apre le braccia. Il che non gli impedisce di rubare il tesoro della città: fugge con ventimila soldi limosini! La fortuna di Limoges! Il mio figlio maggiore è diventato un ladro. Nel maggio di questo anno 1183 depreda il santuario di Rocamadour, prende le sponde della Dordogna, conquista la città di Martel e crolla. Cade, si dice, e questa caduta sembra quasi assurda mentre arriva la primavera e i tigli si apprestano a essere ricoperti dalle api».

Il suo libro ha un titolo che già di per sé dice molto sulla sua scelta in quanto autrice, e dell’ingaggio profondamente rivoltoso dello spirito che anima la voce della protagonista, Eleonora D’Aquitania. Di quale rivolta stiamo parlando?
Eleonora è una di quelle donne-fortezza. I suoi pugni sono serrati, il suo collo è teso ed è pronta alla battaglia. La collera fa parte di lei. In fondo, è una donna di potere. La questione non è contro chi ribellarsi, ma per chi. E la risposta è: per se stessa. Per la sua libertà di movimento, di governare, di combattere, di imporre le sue leggi. La sua logica è simile a quella di un signore feudale, attaccato alle sue terre. Si potrebbe dire dunque che Eleonora abbia un lato molto maschile. Ma si potrebbe anche affermare che ne abbia uno profondamente femminile, di quel femminile guerriero, valoroso, ostinato, magnifico.

La Storia è la grande protagonista del suo romanzo, insieme agli scontri e le alleanze che la generano. Ci vuole raccontare il processo che ha portato alla nascita di questo testo? Quali fonti ha scelto di utilizzare e perché proprio la vicenda di Eleonora d’Aquitania?
Ho studiato il francese antico. Ma l’apprendimento di una lingua è indissolubilmente legato al suo contesto. Poiché mi interessavano le parole, dovevo immergermi nelle loro origini, e interrogare la Storia. Così ho scoperto il Medioevo, un periodo di cui mi sono completamente innamorata. Ho «incontrato» Eleonora, che regna in questo periodo ed è la vera regina del Medioevo. Sono rimasta sbalordita e sedotta dalla sua audacia. Mi è venuta l’idea di scrivere un romanzo su di lei. Ho condotto le mie ricerche per due anni, rendendomi conto di quanto fossero scarse le fonti. Era così bella e feroce da far paura. Ma coloro che scrissero di lei nel Medioevo erano soprattutto uomini, per di più ecclesiastici. Di certo, odiavano la sua figura. Non viene mai descritta fisicamente. Non sappiamo il colore dei suoi capelli o dei suoi occhi. Abbiamo solo una parola, che ricorre quando viene nominata: perpulchra, che in occitano significa «molto bella». Tutto molto vago…

Nel libro la voce di Eleonora e quella dell’amato figlio Riccardo I, detto Cuor di Leone, si intervallano continuamente, anche tramite l’ausilio di epistole, facendo risultare il romanzo come un testo a due voci: quella della madre e quella del figlio.
Eleonora d’Aquitania non è un personaggio simpatico. In realtà, non poteva esserlo: quando si governa e si hanno ambizioni di conquista, bisogna farsi rispettare, soprattutto se si è una donna in un mondo di uomini. Vedo questa donna come una roccaforte, inespugnabile. La voce del figlio è il solo mezzo per rompere questo muro, così da umanizzarla. Riccardo era il suo preferito (è testimoniato). Ho usato questo legame perché ambasciatore di amore, stima e valori gentili in un mondo brutale. E lo sguardo di Riccardo è il mio, è il nostro: ammiriamo Eleonora, conosciamo la sua passione e forse la vulnerabilità, che si nasconde dietro il muro.

Nei manuali di storia delle scuole sembra che per mille anni le donne non abbiano ricoperto nessun ruolo di potere nelle dinamiche politiche della Casa di Francia. Dove sono Radegonda di Poitiers, Vuldetrade della Lombardia, Luitgarda di Germania? E dove sono Bianca di Castiglia e la stessa Eleonora D’Aquitania?
Non c’è da stupirsi, visto che il Medioevo non gode di una buona reputazione. Viene sempre descritto come barbaro, oscurantista, arcaico… Ma era un’epoca complessa, a volte più moderna della nostra. Vigeva il dovere dell’ospitalità (il signore era obbligato ad ospitare un cavaliere errante per la notte), la violenza, insita in ogni società, era regolamentata; si rideva, ci si illuminava, si mangiava, si faceva musica e ci si divertiva; le donne lavoravano, stringevano affari o combattevano. Quando il signore andava in guerra, era la moglie a dover proteggere il castello. Molti testi raccontano le imprese guerresche delle duchesse, che erano in grado di brandire la spada (a volte con una pentola in testa, perché gli elmi non erano della loro taglia…). Con il mio libro ho voluto rendere omaggio a quel femminile valoroso di cui ho parlato all’inizio.