È il suo fischio che doppia l’olgettina che tenta di sedurre Berlusconi nel film Loro 2 di Sorrentino in una scena grottesco-surreale, ma soprattutto è lei la protagonista di Aliento, un album (Audioglobe), con tredici famosissime canzoni della tradizione sudamericana a essere fischiate con il supporto di un quartetto alle prese con strumenti sia classici sia etnicheggianti dall’arpa paraguaiana (Lincoln Almada) al pianoforte Gianluca Massetti), dalla tiorba (Evangelina Mascardi) al violone (Diana Fazzini). Elena Somaré, fotografa, filmmaker e soprattutto fischiatrice.

Il fischio è qualcosa che si porta appresso fin da piccola, dall’età quattro anni e tenta di imitare il padre: a sei anni già riesce a fischiare Casta Diva, davanti alle amiche della mamma, ma è solo attorno al 2007, quando incontra a Roma Lincoln Almada, musicista brasiliano dotato di estrema sensibilità, che inizia il suo percorso professionale. Con Almada inizia un percorso di studio e di collaborazione, sino a farne il direttore artistico di ogni suo progetto come lo spettacolo Il fischio magico (2011) e il primo cd Incanto (2016), oltre l’attuale, di cui la stessa protagonista racconta forme contenuti: «Aliento vuol dire soffio, respiro, alito, ma vuol dire anche afflato, quindi qualcosa che incoraggia, che dà gioia di vivere. Io lo vedo come il soffio vitale, perché per me fischiare è gioia, è un alito di vento che diventa musica. Questo mio secondo disco è, in fondo, è una prosecuzione del primo, che era un viaggio nella grande melodia napoletana, che ha influenzato la musica nel mondo. E Napoli, attraverso i Borbone di Spagna, ha sviluppato un legame con l’America del Sud». Il repertorio dell’album è ricco di melodie struggenti da Libertango a Dos gardenias, da Rosa a Libertango, passando attraversi geniali compositori da Piazzolla a Pixinguinha, da Violetta Para a Luiz Bonfà, tra tango e choro, samba e bossanova, tra Ande e Patagonia, Venezuela e Capocabana. Per Elena, il fischio è la sua voce più intima, la voce dell’anima perché deve toccare le corde segrete, mettersi in contatto con il nostro inconscio.

«Non credo di aver subito influenze, capisco che può sembrare presunzione, ma mi sento unica nel mio genere. Poi naturalmente riconosco i grandi talenti. Forse il migliore è stato Alessandro Alessandroni ma anche Ron McCroby. E Daisy Lumini, che componeva ed era anche una bravissima cantante». D’altronde la sua è un’esperienza musicale che, tolto il contributo di Almada, senza il quale è arduo pensare a questi risultati espressivi, matura su vari fronti: «In generale, ho avuto la fortuna di crescere in mezzo agli artisti, perché mio padre era un pittore e mia madre, laureata in storia dell’arte, frequentava artisti, scrittori, registi. Sono cresciuta con Agnese De Donato, che mi ha iniziata alla fotografia, ma anche con Valentino Zeichen, con Giacometta Limentani e tanti altri».

Il discorso allora cade inevitabilmente sul ruolo della musica oggi in Italia: «Purtroppo la vedo male. È curioso che noi, che abbiamo insegnato l’arte al mondo intero e che potremmo vivere anche di quella, invece la bistrattiamo in questo modo. La musica non è veramente considerata neppure come materia d’insegnamento nelle scuole.