Nel 2009 era uscito Cantendi a Deus, un viaggio attraverso le musiche devozionali e liturgiche della Sardegna; un capolavoro che era stata l’ultima traccia, discograficamente parlando, di Elena Ledda, la migliore voce che l’isola abbia mai espresso. Un disco diverso dal resto della produzione della cantante campidanese: un lavoro raffinato dove la tradizione e la continua tensione alla sperimentazione di nuovi linguaggi musicali si fondevano alla perfezione. Forse il miglior episodio di una discografia già ricca di lavori importanti. Ci sono voluti otto anni prima di questo Làntias, nuovo capitolo di una storia che inizia trentotto anni fa, con il tradizionalissimo Ammentos, inciso per la Durium.

Il cd, prodotto da Michele Palmas e arrangiato dal bassista Silvano Lobina, fotografa alla perfezione il suono della band, la stessa da quasi vent’anni, con un suono che ha un sound «live» nonostante sia stato inciso in studio. Un disco dove la forma-canzone è più presente rispetto alla rielaborazione della tradizione, che pure echeggia in più punti, dal cameo del grande Luigi Lai alle launeddas , agli echi della filugnana gallurese della title-track, alla melodia di Torrandi, una melodia tradizionale riportata alla tonalità minore, cosa inusuale per la musica sarda.

Làntias («Lumi» nella traduzione in italiano) è bellissimo: una cura particolare per il suono (anche in cuffia l’ascolto, è spettacolare), degli ottimi arrangiamenti e su tutto la voce di Elena Ledda, sempre più spinta verso tonalità e sfumature da contralto, più cupa nella sua splendida maturità. Una voce che con gli anni ha guadagnato in espressione e si è arricchita di melismi e colori che la rendono ancora più personale e riconoscibile. Le tracce sono tutte di gran livello, con una menzione per De Arrubiu, con la partecipazione del sax e della voce di Enzo Avitabile, per Cantu Luxis (musica di Marcello Peghin e testo, scritto in campidanese da Gabriella Ledda, come tutti quelli dell’album, che è uno dei più belli della ormai sterminata letteratura canzonieristica sulla tragedia dei migranti), per la conclusiva Torrandi, e per le due cover: quella di Antonio Placer, tradotta in sardo, di Serenade e il celebre tradizionale sud-americano Ojos Azules. Ad accompagnare sono Mauro Palmas, fondamentale sia nella costruzione del sound con le sue mandole, che nel lavoro di composizione, Silvano Lobina, bassista e arrangiatore, il chitarrista Marcello Peghin e il batterista Andrea Ruggeri, oltre alla cantante Simonetta Soro. Fra gli ospiti, oltre Luigi Lai e Avitabile, e la kalimba di Gigi Biolcati nella bella versione della Ninna Nanna in Re di Bianca d’Aponte.