Il governo Lega-5 Stelle è imploso in modo imprevisto e violento. Temevamo che ne avremmo avuto per qualche anno con irrimediabili danni (riforme istituzionali e sociali, oltre che riforme «di fatto» nel modo di pensare e attuare la politica). Non mi pare che l’opposizione si fosse disposta nel frattempo a un lavoro di media/lunga durata per ricostruire idee e legami con la società. Prevaleva invece il disarmo: Pd incapace di darsi una nuova bussola nonostante l’elezione a segretario di Zingaretti, Liberi e uguali (Leu) di fatto sciolti con il cartello elettorale ’La Sinistra’ apparso in occasione delle europee (già sfumato di fronte alla novità del governo “Conte 2”); e movimenti isolati nella loro resistenza, poche analisi e proposte innovative. Il pericolo di una destra al governo per lustri era reale, con relativa torsione a destra delle residue ambiguità grilline. Si è invece scampato il pericolo nell’immediato. Ed è un bene. Pure per possibili evoluzioni di grillini, Pd e Leu.

Ho perciò risposto: «Elementare Watson!» e «bene la prima» a domande tipo: «Meglio un Salvini mandato a casa o il perdurare della gabbia del governo Lega-5 Stelle?», «Meglio un Conte in versione leader in pectore per gli anni a venire o un pupazzo messo lì a fare il premier?». Vedremo che ne sarà dell’ex “avvocato degli italiani”, intanto si è scoperto che non è uno sprovveduto come ci era stato descritto (la formazione in Vaticano all’ombra del recentemente scomparso cardinale Achille Silvestrini indica tutt’altro). Per ora, è l’unico in grado di federare un fronte plurale anti-destra mentre quest’ultima mantiene intatta la sua presa sociale e politica. E la sua aggressività. Quindi nessun entusiasmo fuori luogo o vacuo ottimismo. Piuttosto, il tirare un classico sospiro di sollievo sì, e in modo convinto. Il discorso di Conte alla Camera e al Senato ha dato il segnale che qualcosa è cambiato almeno nell’ottica con cui si guarda all’esperienza di governo.

Incuriosiscono inoltre i suoi richiami ad Hannah Arendt (su «pregiudizi» e «giudizi») e a un «nuovo umanesimo» che potrebbero riservare – senza sbilanciarsi pure qui – positive sorprese correggendo il tradizionale economicismo di cui è stata malata la sinistra italiana nelle sue brevi esperienze di governo. L’alternativa delle elezioni al nuovo quadro politico fondato sul rapporto Pd-5 Stelle-Leu non era convincente. Quel “elezioni e rivoluzione culturale e sociale”, proposto per esempio da Fausto Bertinotti e da altri, è sembrato un auspicio intellettuale senza gambe. L’interrogativo su cui vale la pena discutere è se per ricostruire la sinistra e una eventuale alleanza plurale, che per comodità si può definire di centrosinistra, sia più utile farlo dal governo o sarebbe stato meglio farlo dall’opposizione.

Con più di un anno di governo «Conte 1» alle spalle non c’erano segnali incoraggianti sulla seconda ipotesi. Il confronto sul risultato delle elezioni politiche del 2018 non è neppure iniziato. Segnali di ripresa non si sono intravisti nella sinistra radicale e sono stati timidi, al di sotto delle necessità, nel Pd, sul quale pesa l’ombra di una scissione – che nella chiave di ridefinizione della sinistra, potrebbe forse essere perfino liberatoria. A tenere il campo è stato il movimento delle donne (Me too) nella versione internazionale e italiana; insieme a quello contro l’ossessione dell’emergenza immigrati dei porti chiusi e della parola d’ordine «prima gli italiani».

Nulla faceva capire a inizio agosto un cambio nel breve volgere del tempo. Anzi, l’assillo era per molti quello di non avere neppure all’ordine del giorno il come ricostruire la sinistra e i progressisti, su quali programmi, revisioni critiche e letture della società italiana e dello stato dell’Ue.

Ora dal governo – significa poter avviare politiche e controtendenze significative partendo dalla radicalità imposta dalla crisi economica insieme allo stallo dell’Unione – ci si può dare tempo e agio per ricostruire soggetti politici e legami sociali. Difficile sostenere in alternativa che dalle sconfitte, piccole o grandi o semplicemente elettorali, possa nascere chissà quali palingenesi virtuale e positiva. Le sconfitte non sono mai salutari, pur se da esse si può imparare, ma con le antenne giuste. Il dibattito in Parlamento mostra che chi ha dato il via libera al «Conte 2» è consapevole di avere tra le mani una occasione per cambiare il corso delle cose e che sprecarla sarebbe assolutamente deleterio.

Ha infine ragione chi chiede prudenza ed equilibrio nel giudicare il cambiamento di fase che senza dubbio c’è, come ha scritto giustamente Norma Rangeri. Chi conosce i deficit di pratiche e culture politiche della sinistra, moderata e radicale, non può infatti lasciarsi andare a facili entusiasmi. Ecco perché occorrerà essere critici nel giudicare l’azione di governo, come è del resto tradizione di un giornale come il manifesto mai tenero verso «rospi» e governi dell’Ulivo. E però mai altrettanto tenero verso il minoritarismo vissuto come testimonianza o autocompiacimento.