Il 6 febbraio 1515 moriva a Venezia il celebre stampatore Aldo Manuzio. L’amico, umanista e abile politico della Serenissima Marin Sanudo lo commemorò in un passaggio dei suoi vivaci Diarii, affidati alla sintassi ellittica del suo schietto volgare veneziano: «In questa matina, hessendo morto zà do zorni qui domino Aldo Manutio romano, optimo humanista et greco (…) il qual ha fato imprimer molte opere latine et greche ben corrette, et fate le epistole davanti intitolate a molti, tra le qual assai operete a mi Marin Sanudo dedicoe». In poche parole Sanudo era riuscito a sintetizzare due aspetti qualificanti dell’impresa tipografica di Aldo: un impegno costante per promuovere la rinascita della lingua e della cultura classica greca, e una cura strenua e inesausta dei testi che veniva pubblicando. Quanto al secondo aspetto «le epistole davanti intitolate a molti» ricordate dal Sanudo si riferivano al fatto che Aldo era solito accompagnare ciascuna edizione con una non scontata lettera dedicatoria ai lettori o a coloro che lo avevano sostenuto o coadiuvato nell’impresa editoriale. Non era un tratto esclusivo di Aldo, anzi; nel mondo della tipografia si trattava di un’abitudine consolidata attraverso la quale ciascuno stampatore si premurava di annunciare a tutti l’ottima qualità del proprio prodotto per favorirne uno smercio più rapido, e nel contempo ringraziava il mecenate di turno per avere supportato economicamente l’iniziativa. Ciò che distingueva Aldo dagli altri tipografi era però la qualità della revisione testuale, affidata solitamente a dotti collaboratori, a umanisti di primo livello che potevano garantire al lettore l’effettiva bontà dell’edizione che veniva acquistando. Naturalmente una cura tanto scrupolosa comportava un aumento dei costi e, dunque, un aumento del prezzo di vendita.
Il secondo tratto della personalità di Aldo ricordato dal Sanudo era l’amore per la lingua greca. La diffusione della cultura classica greca fu la ragione prima che spinse Aldo a fondare una sua tipografia: pubblicò testi che nessuno prima aveva mai avuto modo di leggere in un’edizione a stampa, e per far ciò si fece incidere una costosissima serie di eleganti caratteri greci, tali che potessero soddisfare tutte le esigenze sia di gusto sia di resa degli originali manoscritti. Ma Aldo non curava solamente gli aspetti culturali ed estetici della stampa, sapeva bene che ogni impresa editoriale necessitava di cospicui capitali e per questo aveva costituito una società con lo stampatore Andrea Torresani da Asola – di cui sposò la figlia – e con il finanziatore, e nipote del doge, Pier Francesco Barbarigo. A tale società partecipò in piccola percentuale e quando il supporto del Barbarigo venne meno dovette ricalibrare la propria politica editoriale affiancando alle edizioni in greco – spesso non facili da vendere – quelle in latino e in volgare. Ragioni culturali, estetiche, economiche sono state al centro del convegno internazionale tenutosi presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano nel dicembre del 2015 i cui atti hanno da poco visto la luce per cura di Natale Vacalebre (Five centuries later. Aldus Manutius Culture, Typography and Philology, Olschki, pp. XXXVI-246, € 35,00). Tra le novità più interessanti si segnala senz’altro il saggio del paleografo David Speranzi (La scrittura di Aldo e il suo ultimo carattere greco [con uno sconosciuto esemplare di tipografia]) volto a ricostruire minuziosamente le peculiarità della scrittura latina e greca dell’umanista e tipografo. Il passaggio è rilevante perché attraverso la attenta analisi di Speranzi si acquisisce definitivamente l’autografia dell’unico testimone manoscritto della grammatica greca di Aldo (Grammaticae Institutiones Grecae) conservato presso la Biblioteca Ambrosiana (ms. P 35 sup.). Inoltre il manoscritto esibisce tracce inequivocabili di un utilizzo in tipografia, e questo permette di stabilire che servì come esemplare di stampa per l’edizione postuma delle Institutiones del 1515.
Il recupero della autografia greca e latina di Aldo infine offre una sicura base di comparazione per altre attribuzioni a cascata tra le quali spicca il manoscritto Vat. gr. 1379 della Biblioteca Apostolica Vaticana che ospita, fra l’altro, gli Inni di Callimaco: ebbene una serie di correzioni e integrazioni, finora rimaste anonime, devono attribuirsi proprio alla mano di Aldo. Altra acquisizione rilevante, il greco di Aldo depositato sui margini del Callimaco Vat. gr. 1379 servì probabilmente da modello per la creazione dell’ultima serie di caratteri greci aldini da parte dell’incisore Francesco Griffo.
Come ha chiarito in alcuni saggi magistrali Carlo Dionisotti, per Aldo la promozione della lingua classica greca – approdata al mondo occidentale da meno di un secolo dopo il lungo esilio del Medioevo e appannaggio di pochissimi dotti – rientrava in un progetto più ampio di recupero integrale della cultura cristiana e classica insieme, considerate – assieme a quella ebraica che rimase sostanzialmente un sogno irraggiungibile – come colonne portanti della civiltà a venire (per rendersene conto basta ripercorrere il catalogo delle edizioni aldine). Quanto un simile disegno sia, anche oggi, denso di significati lo rivela una acuta annotazione che Antonio Gramsci affidò ai suoi Quaderni del carcere e che Vacalebre ha opportunamente richiamato: «Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale. Se si vogliono allevare degli studiosi, occorre incominciare da lì e occorre premere su tutti per avere quelle migliaia, o centinaia, o anche solo dozzine di studiosi di gran nerbo, di cui ogni civiltà ha bisogno».
È bene aggiungere che Aldo fu, nella tipografia a cavallo del secolo, un’eccezione, ed è questa la ragione per cui oggi viene ricordato e studiato in tutto il mondo. Prima e accanto a lui lavorarono accanitamente, nella penombra dell’anonimato, altri tipografi operosi e intelligenti che contribuirono per la loro parte alla diffusione della cultura. Nella stessa Venezia fu attivo il piemontese Giovanni da Cerreto detto Tacuino, che anche grazie alla vicinanza di Aldo seppe maturare con il tempo un’esperienza tipografica di buon livello, al punto da vedersi affidata, nel 1525, niente meno che l’edizione delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo. A poca distanza (a Brescia), qualche anno prima, aveva avviato la propria attività il meno noto prete e tipografo Battista da Farfengo cui ora restituisce un ritratto a tutto tondo il poderoso saggio di Giancarlo Petrella, L’impresa tipografica di Battista Farfengo a Brescia Fra cultura umanistica ed editoria popolare (Olschki, pp. XXXII-508 con 62 figg. n.t., € 50,00). Il Farfengo costituisce un buon esempio di stampatore che seppe muoversi lungo il sottile confine tra produzione tradizionale e novità editoriali, cercando di sopravvivere alla concorrenza dei tipografi rivali, i Britannico, anch’essi attivi a Brescia. Tra le iniziative più curiose andranno segnalate le edizioncine stampate per celebrare avvenimenti contemporanei (veri e propri instant books, li definisce Petrella) come La venuta del re di Franza e la rotta incentrata sulla discesa in Italia di re Carlo VIII: si trattava di plaquettes di poche carte, non di rado corredate da vivaci illustrazioni atte a favorirne la diffusione presso un pubblico più ampio del solito. Petrella ripercorre l’attività di Farfengo esaminandone il catalogo, seguendone le strategie commerciali, ricostruendone l’attrezzatura tipografica: carta, iniziali silografiche, caratteri. Per i non addetti ai lavori potrà stupire il fatto che, in assenza di caratteri greci – sì, proprio quelli che Aldo si era fatto appositamente fondere – Farfengo invitasse il lettore a provvedere personalmente, colmando gli spazi lasciati in bianco nelle proprie edizioni con le opportune parole greche.