«Andate a votare, il centro commerciale chiude»: queste sono le frasi che echeggiavano ieri, alle quattro del pomeriggio, dagli altoparlanti di City Stars, il più frequentato mall egiziano di Medinat Nassr. È una delle scene orwelliane a cui si è potuto assistere nei giorni elettorali al Cairo, con seggi vuoti in attesa di elettorali assenti.
Per spingere gli egiziani al voto, adducendo il pretesto del caldo eccessivo, l’apertura dei seggi è stata prolungata di un giorno (decisione forse ammissibile in caso di alta affluenza non in mancanza di votanti), mentre le autorità si sono affrettate a dichiarare festivo il martedì elettorale, hanno disposto la chiusura di banche e uffici pubblici e promesso di applicare la legge che prevede 500 ghinee (poco più di 50 euro) di multa per chi non si recasse alle urne.

Non solo, la Commissione elettorale nella giornata di martedì ha annunciato un’affluenza vicina al 37% dopo il secondo giorno di voto. Sospettosamente alta: alle presidenziali del 2012, quando si recò alle urne il 50% degli aventi diritti, si registrarono file e resse nei seggi.

Dopo l’annuncio inatteso del prolungamento del voto, il candidato nasserista Hamdin Sabbahi ha chiesto ai suoi delegati di lasciare i seggi. Eppure molti sostenitori della sua campagna, alcuni dei quali arrestati fuori dalle urne, hanno abbandonato la sede di Corrente popolare, movimento che sostiene la candidatura di Sabbahi, in polemica con la decisione dell’ex sindacalista di non ritirarsi dalla competizione.

Voci non confermate vogliono Sabbahi come favorito alla carica di premier dopo l’incoronazione dell’ex generale Abdel Fattah Sisi.

È chiaro però che gli egiziani non hanno perdonato all’ex militare la sua discesa in campo in politica. Abbiamo seguito le operazioni di voto nei quartieri periferici e popolari di Matarriya e Zeitun. I seggi erano completamente deserti (nella foto reuters). «Chi vuole che andiamo a votare se non c’è Morsi tra i cadidati? (l’ex presidente islamista, deposto con il golpe del 3 luglio 2013, ndr)», ci ha spiegato un venditore ambulante.

La sua minuscola bottega si trova tra la scuola Musallah e l’ospedale, gestito dai Fratelli musulmani, al Nour. Le strade sono sbarrate da vecchi banchi di scuola, polizia e militari presidiano gli ingressi ai seggi. Non ci sono i minibus della Fratellanza che motivavano in passato elettori ed elettrici ad andare a votare. Le operazioni di voto si sono svolte in relativa calma. Un ordigno è esploso alle porte del seggio della scuola Lofty di Omraniya senza provocare danni. Tre ordigni sono stati fatti brillare nei governatorati di Fayoum e Giza.

Manifestazioni di sostenitori della Fratellanza sono state disperse a Kerdasa, Ameriya e Gisr al Suez. Quattro giudici sono stati rimossi dal loro incarico perché avrebbero espresso indicazioni di voto nei seggi.
Nel frattempo, per contestare uno dei provvedimenti più controversi e anti-democratici, approvati nei mesi di governo degli esecutivi ad interim di Hazem Beblawi e Ibrahim Mahleb, centinaia di persone hanno marciato nella notte di lunedì per le vie del centro del Cairo. Lo stesso è avvenuto lo scorso sabato quando alle porte del Sindacato dei giornalisti si è riunito un gruppo di manifestanti che chiedeva il rilascio dell’avvocato, attivista dei socialisti rivoluzionari, condannata a due anni per aver violato la legge anti-proteste, Mahiennour el Masry.

Il caso di Mahie è paradossale perché aveva partecipato ad un assembramento ad Alessandria per ricordare uno dei simboli delle rivolte del 2011, il giovane Khaled Said, ucciso nel 2010.
«La legge anti proteste è incostituzionale. Le autorità impediscono le manifestazioni dei movimenti laici e questo non ha nulla a che vedere con le proteste degli islamisti per cui sono previsti limiti nella Costituzione (voluta dai militari e approvata nel gennaio 2014, ndr), per disposizioni anti-terrorismo. Gli arrestati non sono né terroristi né islamisti», spiega al manifesto il noto blogger Wael Abbas. Secondo Abbas, i permessi per organizzare manifestazioni vengono costantemente negati: è successo a decine di proteste volute dai lavoratori.

«Non esisteva una legge così restrittiva in precedenza, se la polizia vuole attaccare dei manifestanti inermi può farlo per legge. Per esempio le forze di sicurezza entrano deliberatamente nelle università, sebbene questo sia vietato dalla Costituzione», prosegue Abbas.

E poi le condizioni del braccio politico delle prigioni egiziane sono terribili. «I detenuti sono sottoposti ad abusi e torture, ci sono prigioni inaccessibili sotto il controllo dei militari, per esempio ad Ismailia, dove le violenze contro i detenuti sono sistematiche», continua Wael.

Per questo, le principali ong indipendenti, il centro Nadeem e l’Iniziativa egiziana per i diritti personali hanno condannato l’aumento senza precedenti del numero di persone sparite e torturate in carcere, con il pretesto dell’anti-terrorismo. Molti detenuti sono stati arrestati senza accuse e senza che venisse notificato ai familiari il luogo della detenzione per mesi. Secondo il sito indipendente Mada Masr, sono 41mila le persone arrestate dal giorno del colpo di stato militare del 3 luglio scorso, tra cui 926 minori, 4.768 studenti e 166 giornalisti.