I giornalisti di al-Jazeera sono colpevoli di aver diffuso notizie false. È questo l’atteso verdetto definitivo della magistratura egiziana che ha condannato Mohamed Fahmy, Baher Mohamed e l’australiano Peter Greste a tre anni di detenzione. Greste è stato deportato in Australia all’inizio dell’anno e quindi non era presente in aula. Insieme a Fahmy, i due giornalisti erano stati condannati a sette anni di reclusione in primo grado per la copertura dei massacri di Rabaa al-Adaweya, dopo il golpe del luglio 2013. Baher Mohamed (che dovrà scontare tre anni e sei mesi) aveva invece ricevuto una precedente condanna a dieci anni, ridotta in appello.

Leggendo il verdetto il giudice, Hassan Farid, ha aggiunto che i giornalisti non erano accreditati in Egitto. Fahmy sarà probabilmente estradato in Canada, paese di cui detiene il passaporto, dopo aver rinunciato alla cittadinanza egiziana. Greste si è detto «scioccato e oltraggiato» per la condanna. Amal Alamuddin, moglie di George Clooney, avvocato di Fahmy (nella foto), ha definito la sentenza un «messaggio pericoloso per l’Egitto di al-Sisi». «I giornalisti possono essere arrestati solo perché fanno il loro lavoro, dicono la verità e coprono le notizie», ha insistito Amal.

Amnesty International ha condannato la sentenza definendola un «affronto alla giustizia». Giles Trendle, direttore di Al-Jazeera English, da Doha, ha rilanciato la campagna a favore dei reporter in carcere. «Il giornalismo non è un crimine», ha aggiunto Trendle sostenendo che i tre giornalisti siano stati «condannati senza uno straccio di prova», in quello che ha definito «giorno nero per la magistratura egiziana».

Le condizioni delle migliaia di prigionieri politici sono sempre più precarie. Molti di loro hanno iniziato uno sciopero della fame nel carcere di Wadi al-Natrun. Dopo le denunce di torture subite dai detenuti, le morti di due prigionieri nel carcere di Assyut hanno dato il via a nuove proteste nelle carceri. Centinaia sono i casi di detenuti scomparsi e in carcere senza accuse precise. Molti sono in prigione da oltre due anni senza l’avvio di un regolare processo, ben oltre i limiti della detenzione preventiva. La magistratura non colpisce soltanto gli islamisti ma tutti gli attivisti di ogni colore politico. Tra loro, ricordiamo la foto-giornalista Esraa al Taweel, accusata di spionaggio e diffusione di notizie false, e Sana Seif, in carcere dopo aver partecipato alla manifestazione del palazzo presidenziale di Heliopolis lo scorso anno.

La legge anti-terrorismo ha ulteriormente limitato lo spazio per la stampa critica. Il ministero degli Esteri ha lanciato un blog per «contro-informare» e correggere le «false informazioni» diffuse dai media internazionali. Una Fact-checking Commission era stata stabilita per limitare il lavoro della stampa indipendente. Decine di giornalisti stranieri sono stati minacciati ed espulsi negli ultimi mesi in Egitto. Tre uomini sono stati arrestati nella città di Sohag per aver postato presunti video pro-Isis su Facebook.

La legge prevede provvedimenti draconiani contro chiunque faccia apologia di terrorismo con periodi di detenzione fino a cinque anni. Infine, si è chiuso ieri lo sciopero della polizia. I poliziotti chiedevano condizioni lavorative e salariali migliori. Secondo il ministro dell’Interno, le proteste, particolarmente diffuse nella città di Zagazig, sono cessate perché le richieste sono state accolte.