Sostiene Enrico Deaglio (Indagine sul ventennio, Feltrinelli, euro 15) che il ventennio di Silvio Berlusconi sia terminato con la sua decadenza dalla carica di senatore il 27 novembre 2013. La tesi sembra un’esorcismo contro i fantasmi e le derive del ventennio che ci aspetta. Il patto del Nazareno e la maggioranza con Forza Italia che assicura al Partito Democratico di Matteo Renzi il sostegno per rivoluzionare il Senato, revisionare il titolo V della Costituzione e istituire una legge elettorale ipermaggioritaria che cancella milioni di elettori, dimostrano che il berlusconismo è vivo e vegeto, ma è stato trasfigurato, inghiottito e reincarnato nel corpo nervoso dell’attuale presidente del Consiglio.

In un libro composto da dodici interviste a Silvia Ballestra, Ivan Carrozzi, Mario Deaglio, Andrea Jacchia, Gad Lerner, Fausto Melluso, Peppino Ortoleva, Marcelle Padovani, Romano Prodi, Massimo Recalcati, Roberto Saviano e Adriano Sofri, colpisce l’assenza di una riflessione su questo recente passaggio della storia politica italiana. Il silenzio può essere dovuto ad esigenze editoriali. Probabilmente il libro di Deaglio è stato chiuso prima del colpo di mano con il quale Renzi ha defenestrato da Palazzo Chigi il suo compagno di partito Enrico Letta, due mesi dopo che quest’ultimo era riuscito a isolare politicamente Berlusconi, inventandosi una nuova maggioranza con il partitino di Alfano e i suoi reprobi berlusconiani, con il sostegno del Quirinale. Ma questo silenzio potrebbe essere inteso anche come una nuova rimozione che ha colpito la sinistra italiana, amalgama indigeribile e stadio degenerativo delle eredità democristiana e comunista, che ha generato l’uovo del serpente di un berlusconismo mutante. Ammesso, ma non concesso, che il ventennio sia concluso, pare che per la sinistra il berlusconismo sia diventato il nefas dei tragici greci. Quell’antico timore che coglieva il malcapitato davanti al non detto, il male, oggi se è possibile è raddoppiato. Il tragico eroe di un tempo ha assunto le sembianze, le attitudini e l’immaginario del suo antagonista. Senza girotondi che protestano contro le riforme costituzionali, con i suoi intellettuali e gli artisti appagati o depressi dal conformismo e dall’efficienza più dichiarata che reale di Renzi, nel 2014 la sinistra ha concluso un lungo percorso di assimilazione, trasformandosi in un Frankenstein sgangherato.

Deaglio riepiloga i fatti: il 28 febbraio 2002 in un discorso alla Camera Luciano Violante ricordò che nel 1994 l’allora Pds diede a Berlusconi «garanzia piena che non sarebbero state toccate le televisioni» e che il conflitto di interesse del tycoon padrone dei sensi proibiti degli italiani non avrebbe impedito di «dichiararlo eleggibile nonostante le concessioni». Lo spunto è stato purtroppo abbandonato nel libro e non sembra costituire un’occasione di riflessione adeguata.

L’attrazione fatale degli ex comunisti rispetto a Berlusconi è spiegabile in base all’ideologia della «governabilità», con l’esigenza di trasformare il regime di governo, come lo stesso profilo costituzionale della Repubblica alla luce della loro ansia di legittimazione. Ora che è al governo, rimossa la sua presunta diversità morale, politica o antropologica, il Pd vede ad un passo la conclusione di una storia di esclusione e frustrazione. Manca poco e poi riuscirà a cancellare quell’ancestrale timore. Sempre che i fantasmi non tornino ad occupare la scena, rilanciandone la permanente inquietudine.

Deaglio non limita il romanzo berlusconiano al suo lato nazionale, a una vicenda interna alla borghesia nazionale e alle sue storie criminali sin dagli anni Settanta in combutta con Cosa Nostra, ad un epifenomeno nazionale del leghismo etno-razzista nel Nord. Nel dialogo con l’economista Mario Deaglio emerge l’aspetto più interessante di un personaggio politico che oggi, pur estenuato, continua a garantire la coerenza di un sistema.

Per Mario Deaglio Berlusconi è stato l’interprete italiano di un neoliberismo tardivo e fallimentare. Egli incarna il capitalismo finanziario nelle sue attività di palazzinaro, di imprenditore mediatico, o di mediatore degli interessi delle super-potenze energetiche dalla Russia all’Azerbaijan, come fanno Blair o Schroeder. Estendendo questo ragionamento alle ultime alleanze contratte dal Pd, sembra che Renzi intenda rilevare una parte non piccola di questa eredità. Non certo diventando un imprenditore, ma provando ad accreditarsi con i mercati per gestire la crisi che Berlusconi aveva provato a negare nel 2011. In questo scambio di testimone, in cui a un pregiudicato e interdetto dai pubblici uffici è stato concesso di diventare un padre costituente, la patologia si è fatta norma fondamentale. Diventa costituzione, oltre che regola di vita. Non nelle forme adottate da Berlusconi (prostituzione minorile, corruzione, evasione fiscale e quant’altro), ma nella sua forma più vuota e trascendentale della «modernità», il più vetusto ideologema usato da Renzi e, come dimenticarlo, da D’Alema con il suo «paese normale». Farsi legge, diventare moderni, innovare, sconfiggere i passatisti difensori dell’ordine costituito e le corporazioni. Parlare al popolo. I concetti populistici agitati da Renzi sono quelli del berlusconismo, cambiati appena di segno.

In nome di cosa la sinistra è arrivata a tanto? Una spiegazione la offre Massimo Recalcati nel dialogo con Enrico Deaglio quando teorizza la «perversione». Non è solo una sindrome clinica, bensì una visione del capitalismo. Berlusconi ieri ne ha interpretato il nuovo spirito che non è più quello di Max Weber: sacrificio di sé e rinuncia al godimento immediato. Godere ora, e adesso: è la legge del capitale finanziario in nome della quale Berlusconi ha sfidato tutte le leggi dello Stato. La crisi ha imposto nel frattempo una rinnovata enfasi sulla moderazione e l’austerità. A differenza del suo alleato Renzi non può permettersi slanci illimitati, del resto non rientrano nemmeno nel suo personaggio. Renzi si limita a scrutare il cielo in attesa del ritorno della crescita, promette 80 euro per dare respiro alle famiglie, non per avventure che scalino il mondo. Qui sta forse la fine del ventennio. Ma la sinistra non ha ancora compreso l’eccesso auto-distruttivo del capitalismo. Pretende di blandirlo, addirittura di guidarlo. Farebbe meglio a diffidare della sua attuale socievolezza. Non si sa mai cosa può uscire dall’uovo del serpente.