«Voglio dirti che il background o le esperienze di tutti gli artisti devono avere un piccolo effetto sulla loro scrittura. A me è accaduto, ne sono la prova. Certo, sono nato e cresciuto a Londra, ma i miei genitori sono venuti nel Regno Unito dalla Giamaica. Mio padre Lucius è arrivato nel 1959 e l’anno successivo mia madre Ruby. Con me c’erano altri tre fratelli e una sorella: chiaramente eravamo londinesi, ma abbiamo sempre avuto un pezzetto di Giamaica a casa nostra. Essere di Londra, significa crescere ascoltando tutti gli stili di musica, incluso il gospel giamaicano che veniva cantato in chiesa. Ricordo questa band, composta da tastiera, basso, batteria e chitarra, che aveva ovviamente un suono leggermente diverso dai nostri cugini statunitensi. È stato il primo concerto che ho sentito dal vivo».
Errol Linton, considerato uno dei migliori armonicisti della effervescente scena britannica dedita ai suoni del diavolo, suona il Brixton Blues. Che non è soltanto una calzante definizione giornalistica – dato che il nostro mescola con sagacia e maestria reggae e blues – è molto altro. È una collocazione geografica, certo, ma ancor più è un senso di consapevole appartenenza sociale e culturale, come ben si ravvisa dalle sue parole. E se gli entusiasmi e le memorie giovanili si innestano su una sensibilità familiare alla musica, che si traduce in vecchi nastri e vinili del genitore, non desta stupore sapere che il giovane Errol si ritrovò presto in sala prove a cercare la giusta via: «Quando ero bambino, in casa i dischi di mio padre suonavano ska, reggae, country, gospel e Louis Jordan. Con mio fratello c’era spazio per il jazz e i Funkadelic. Poi attraverso la tv e le prime feste sono arrivati il pop, il rock e il soul. Nel frattempo il reggae era il suono predominante che cresceva e dilagava in città. Da giovanissimo iniziai a collezionare dischi e cassette: amavo Sly & The Family Stone, Stevie Wonder, Earth, Wind & Fire, Pink Floyd e Fleetwood Mac. Posso dire che da adolescente ho avuto la fortuna di vedere dal vivo Fela Kuti, e tanta, tanta musica. E oltre tutti gli stili e i nomi che ho già menzionato, avevo i miei artisti reggae preferiti: Dennis Brown e Lone Ranger. E poi uscendo di casa avevo le discoteche e trovavo la musica dal vivo gratuita nei parchi, con formazioni di ogni genere, inclusi gli Aswad e i sound system giamaicani. Di conseguenza quando ho iniziato a suonare, fu spontaneo mescolare il reggae con il blues e nel momento in cui ho ricevuto la prima armonica, fu normale improvvisare in un piccolo garage con degli amici alla batteria e alla chitarra. Cercavo di suonare l’armonica con dei riff in stile ska… ho ancora quel nastro».

LE RADIO
E mentre le radio erano i riferimenti quotidiani imprescindibili, «da quelle illegali fino alla Bbc, Capital Radio e Radio Caroline. Per non parlare poi di trasmissioni imperdibili come il Tony Williams Reggae Show a Radio London» e i dischi di reggae dub del 1981 di Scientist (Scientist Rids the World of the Evil Curse of the Vampires) e di Ranking Toyan (Toyan) del 1982 lasciavano il segno nel suo periodo di formazione, il giovane Errol innamorato dell’armonica generava le impressioni più disparate fra i suoi amici: «Alcuni mi hanno incoraggiato, altri dissero che non avrei mai imparato a suonare quella cosa». Quelle ance cambiarono per sempre, a dispetto dei detrattori, il futuro di Linton che passo dopo passo, negli anni Novanta inizia la sua carriera. Le sue capacità non solo allo strumento, ma anche vocali e di intrattenimento, non passarono inosservate. Ad accorgersi di lui nel 1991 fu John Walters: «Era il leggendario produttore di John Peel. È stato importante incontrarlo, in quanto con il documentario realizzato su di me nel 1993 per la Bbc Arena, con l’altra metà del lavoro dedicata a Big Bill Broonzy, mi ha aperto molte porte. Forse John ha intravisto qualcosa in me, considerato che quando l’ho conosciuto suonavo l’armonica e cantavo da pochi anni. Riguardandomi oggi in Blues South of the River, vedo un musicista giovane, fresco, ottimista e povero». Il film in questione merita di esser visto, rappresentando un interessante spaccato della Londra di allora, che si aggiunge al focus su Linton. L’armonicista si mette in luce con la sua attività di busker in solo, esprimendo uno stile vicino, oltre ai classici come Sonny Boy Williamson e Sonny Terry, anche a nomi meno noti, veri e propri pionieri come DeFord Bailey, Chuck Darling e Freeman Stowers. Negli anni a venire, oltre a creare una propria band e dare continuità alla discografia, Linton ha iniziato ad andare in tour in ogni continente, condividendo il palco con artisti del calibro di Screamin’ Jay Hawkins, Henry Gray, Bo Diddley, Dr. John, Clarence «Gatemouth» Brown e i Blind Boys of Alabama. Esperienze fondamentali per la definizione del suo stile e che un passo dopo l’altro, ne hanno progressivamente consolidato il profilo artistico.

ULTIMO PASSAGGIO
L’ultimo di questi passaggi si rintraccia nel recente lavoro No Entry, un album che presenta Linton nella piena maturità artistica. All’ascolto, ciò che balza maggiormente all’attenzione è la perfetta fusione di feeling, groove e atmosfere da juke joint urbano: «C’era un’ottima atmosfera quando abbiamo inciso, sentivamo la musica vibrare nell’aria. Abbiamo registrato quindici canzoni in due giorni, il 2 e 3 gennaio 2019, presso i Toe Rag Studios. Grazie agli amplificatori e ai microfoni vintage dello studio analogico di Liam Watson, abbiamo ottenuto un suono caldo, e questa è la maggior differenza con i miei album precedenti».
Probabilmente le sale di registrazione nell’East End di Londra, in cui gli White Stripes concretizzarono Elephant e i Tame Impala Innerspeaker, avranno avuto un peso rilevante nella realizzazione del sesto disco da studio, ma certo Linton e soci avevano le idee ben chiare già prima di arrivare al 166a di Glynn Road. Ci vuole consapevolezza dei propri mezzi e anche una bella dose di coraggio ad aprire un album con uno strumentale: «La scelta di partire con No Entry Blues è di Tim Bulleyment, co-produttore dell’etichetta. La canzone, uno slow blues con un’atmosfera molto lunatica, è la reazione allo scandalo Windrush e alla Brexit, situazioni che nella band sentiamo molto perché la maggior parte dei membri proviene da famiglie di immigrati». Le atmosfere toccanti dell’apertura, sono solo il preambolo dei tanti apici che Linton raggiunge. Fools for Love è Chicago Blues danzante da sabato notte, Sad & Lonesome è qualità altissima in puro stile Little Walter e Rainy in Your Life sembra provenire dagli studi di Allen Touissant e Cosimo Matassa.
Con il troppo breve prologo Excerpt from Brixton Rush Hour Boogaloo, settanta secondi di Detroit Sound in bilico tra Andre Williams e Nathaniel Mayer, si entra nel vero Brixton Blues, effervescente e oscillante in Speak Easy e Love You True e da applausi veri in due brani che non sfigurebbero in una calda dancehall estiva: «Howlin’ for My Darlin’ è una canzone di Chester Burnett che ho riarrangiato con un tocco di reggae, mentre Big Man’s Gone parla del ritorno in Giamaica di mio padre». Perché il Brixton Blues, parafrasando il dj inglese Jamie Renton, equivale a «…la Chess Records che incontra Studio One».

 

PROSPETTIVA BRITISH
Errol Linton è un cantante e armonicista inglese. Eccelle sia alla voce che allo strumento, circostanza che lo pone tra i migliori armonicisti britannici. Si contraddistingue per un suono caldo e avvolgente, che richiama maestri come Little Walter e Billy Boy Arnold. «Homeboy Blues» del 1991, in condivisione con Pete Smith e Tyrone Balkisson, è il suo esordio discografico. Nel 1998 e nel 2002 pubblica come Errol Linton’s Blues Vibe rispettivamente «Vibing it» e «Roots Stew», entrambi per Ruby Records. Stessa label nel 2011 per «Mama Said». Dal 2018 si stabilizza con la Brassdog Records, con cui nello stesso anno pubblica «Packing My Bags», seguito da «Live in London» nel 2019 e disponibile solo online, fino al recente «No Entry». Di qualità anche la presenza come cameo player negli album «Rejoice, Rejoice» e «Yes Boss Food Corner» dei Transglobal Underground.