Il colpo di genio della parte che ha sostenuto l’incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi davanti ai giudici della Consulta ha un nome: Giovanni Maria Flick, l’avvocato che dal 1996 al 1998 fu ministro di Grazia e Giustizia e soprattutto che fu, subito dopo, presidente della Corte costituzionale. La ricca trattazione giuridica con cui ha difeso durante l’udienza pubblica, affiancando l’avvocata Michela Porcile, la questione di costituzionalità sollevata dalla Cassazione sulla vigente normativa delle droghe ha evidentemente convinto pienamente gli ermellini. Che l’hanno spazzata via.

Professor Flick, cosa l’ha convinta ad accettare la parte dell’accusa contro la Fini-Giovanardi?

La questione di principio è molto interessante anche perché uno dei miei primi studi è stato nel 1979 un libro dal titolo Droga e legge penale, miti e realtà di una contraddizione. Ora l’oggetto di discussione, ossia la sostituzione della Jervolino-Vassalli con un’altra legge molto più rigorosa che abolisce la distinzione tra droghe leggere e pesanti, tra sostanze diverse con grado di pericolosità e implicazioni sociali diverse, punendo tutti i reati a loro connessi allo stesso modo, pone a mio avviso il problema della proporzionalità. L’uso di droghe può giustificare un intervento dello Stato, ma sono perplesso sull’intervento repressivo molto forte, soprattutto per le droghe leggere. Ma qui affrontiamo un discorso di merito che in udienza non è stato toccato. Davanti alla Consulta abbiamo trattato solo la questione di legittimità.

Professore, ma lei è un’antiproibizionista?

No, io non sono né proibizionista né antiproibizionista. Ho cominciato a occuparmi di droga dopo essermi occupato di plagio, delitto che commetteva chi annullava la personalità altrui e che è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte per genericità nella sua formulazione. Nel 1972 scrissi un libro sul caso Braibanti, che trattava la tutela della personalità di fronte all’ipotesi di plagio sottolineando il diritto di ciascuno a vivere condizionato da tutti gli altri e non da uno solo. Un diritto a cui si affianca anche il dovere di solidarietà, di coesione sociale, di responsabilità previsto dalla Costituzione, di vivere condizionato. Cioè non posso, attraverso l’uso di sostanze, fuggire dalla realtà. Lo Stato può chiedermi di non fuggire dalla realtà, ma lo può fare con molta cautela, perché qui entra in gioco il diritto alla diversità, all’identità di ciascuno. Per esempio, l’articolo 32 della Costituzione vieta i provvedimenti coattivi. Le imposizioni costrittive da parte dello Stato anche per il bene della persona vanno trattate con molta attenzione. In questo quadro l’assimilazione droghe leggere e pesanti va al di là dei limiti della proporzionalità.

Lei però ha centrato la sua difesa sulla legge di conversione…

Giustamente la Cassazione non ha sollevato problemi di merito, ma di metodo. Il decreto legge sulle Olimpiadi invernali affrontava un problema urgentissimo, quello di riparare a un errore commesso con la Cirielli e che poteva ostacolare il trattamento dei tossicodipendenti. Ma secondo un’abitudine sempre più frequente, governo e parlamento hanno caricato il treno del decreto legge di una serie di vagoni completamente estranei, per approfittare dell’iter di conversione molto più rapido di quello ordinario. È capitato anche con il decreto Milleproroghe o con il “Salva Roma” che infatti è stato ritirato. La Corte da qualche anno ha sottolineato che questo non è accettabile, e ha consolidato il principio che nella conversione – una procedura eccezionale – non si possono introdurre norme che non siano omogenee con quelle del decreto legge. La corte di Cassazione ritiene, e io ho argomentato, che una cosa è occuparsi del trattamento del tossicodipendente e una cosa è riorganizzare ex novo la disciplina degli stupefacenti, tra l’altro aumentando le pene e assimilando droghe leggere e pesanti.

La Consulta ha accettato questa sua tesi?

Dal comunicato stampa ritengo di sì, perché si parla di violazione dell’articolo 77, secondo comma, cioè della procedura di conversione del decreto legge.

Quali sono gli effetti della sentenza?

Bisognerà leggere la motivazione della sentenza, ma come ho detto in udienza in questo caso rivive la pre esistente legge Jervolino-Vassalli, emendata dal referendum del ’93. Torna in vigore per il futuro e per i processi ancora in corso, ma non credo che possa applicarsi quando la sentenza è già definitiva.

Chi è stato condannato con la Fini-Giovanardi può chiedere il ricalcolo della pena?

No, se la sentenza è definitiva. Secondo un principio generale del codice, nel caso che una nuova disciplina legislativa subentri a cancellare un reato, allora l’esecuzione della condanna cessa anche se la sentenza è definitiva. Ma se la nuova norma – che in questo caso è la vecchia legge Jervolino – si limita a modificare il quadro ma senza eliminare il reato, allora lo sbarramento è dato dal passaggio in giudicato. Mi domando se tutto questo non dovrà portare a pensare a provvedimenti di clemenza specifici su questo punto. La mia però è una valutazione politica. Credo che, ma non ho elementi per dire in quale misura, comunque questa sentenza avrà un qualche effetto positivo sul sovraffollamento carcerario.