Nei prossimi giorni sarà online il numero 8 di «Educazione aperta – Rivista di pedagogia critica». La sezione tematica è dedicata all’educazione nei contesti di conflitto armato, con articoli di Mariateresa Muraca, Angelo Miramonti (i curatori), Elena Bergonzini ed Elena Monicelli della Scuola di Pace di Monte Sole, Spinella Dell’Avanzato e Francesco Ridolfi di Rondine.

«I contributi che presentiamo in questo Primopiano sono concordi nell’identificare il conflitto armato come esperienza che costringe a ripensare tutte le prassi pedagogiche, e in particolare a ripensare i processi emotivi e cognitivi che portano alla costruzione del protagonista assoluto e indispensabile di ogni guerra: il nemico» – si legge nell’introduzione – «Molti articoli enfatizzano il ruolo del vivere insieme come pratica pedagogica per costruire empatia e arte quali dispositivi per ri-umanizzare l’altro e gettare le basi per la convivenza e la non-ripetizione.

DA QUESTI CONTRIBUTI emerge con forza il ruolo della violenza come possibilità costante per le società umane e dell’educazione come responsabilità permanente di prevenire e trasformare i conflitti violenti, intervenendo non solo con i giovani ma con persone di tutte le età per costruire un ‘noi’ inclusivo, che riconosce le differenze e non persegue l’omologazione come strategia di pace. Da questi contributi emerge un appello a costruire una convivenza che sappia ascoltare la diversità dei vissuti e adotti la costruzione di pace come compito permanente di ogni società umana, non solo in quelle che storicamente attraversano un periodo di conflitto armato e di post conflitto “Come nascono i lager? Facendo finta di niente” scriveva Primo Levi.

È PROPRIO una pedagogia che non vuole fare finta di niente davanti alla guerra quella a cui questo Primopiano vuole dare voce. Per questo vogliamo concludere tornando al titolo e all’immagine di copertina (di Fabio Castenedoli) di questo numero: un fiore che sboccia tra le macerie come metafora dell’educazione nei conflitti armati come un seme caduto in mezzo ai detriti, che a primavera germina e sboccia in mezzo alle crepe dell’inverno bellico. È un fiore delicato, che può essere facilmente reciso, ma un fiore che trova la sua via tra le distruzioni del passato, che germina negli animi prostrati e percorre i corpi, un fiore indispensabile per “umanizzare l’umanità” (Boal), un fiore che dorme sotto le lande gelate della violenza e che, nonostante tutto, è sbocciato in tanti frangenti storici in cui la speranza pareva perduta; un fiore urgente, delicato, decisivo. Un fiore in mezzo alle crepe».
Molte altre le voci e le questioni affrontate nelle sezioni «Esperienze e studi», «Blog» e «Rubrica di Democrazia affettiva».