Gigantesco caleidoscopio dai colori e dalle risoluzioni sempre mutevoli, alla fine dell’Ottocento New York City si afferma come fucina di sperimentazioni e contaminazioni culturali. La città si presenta, per dirla con Mario Maffi, come un «mosaico di inner cities», tutte a sé stanti, tutte necessarie per completare, attraverso un’operazione non già di fusione quanto di accostamento o incastro, la Ur-city d’America. Metropoli- icona, si impone come oggetto desiderato di gran parte della pittura, della fotografia, della cinematografia del Novecento: si vorrebbe «inquadrarla», darle una forma all’interno della cornice, facendola diventare essa stessa «opera d’arte». Lo diventa, in effetti, per volontà di un gruppo di artisti impegnati in iniziative rivoluzionarie che la rendono infine controparte speculare di Parigi, a sua volta culla della sperimentazione europea.

Al processo contribuisce anche Edith Wharton che con la sua città natale stringe però un rapporto contraddittorio, tanto da preferirle la capitale francese dove morirà nel 1937. Eppure, con il pensiero torna a New York incessantemente per ripercorre le strade e i salotti dei quartieri alti, la Fifth Avenue con il suo via vai di eleganti landò e le sfilate di cuffie di raso e cappelli a cilindro. Sofisticata miliardaria dell’aristocrazia immobiliare, Wharton osserva con lo sguardo di un «angelo della devastazione» – così l’aveva definita l’amico del cuore Henry James – e con una scrittura audace propone il suo personalissimo affresco di un milieu tanto luminescente quanto ripugnante, che scruta con disincanto e spregio del conformismo. Sono queste le note e gli umori che ritroviamo in due nuove raccolte di racconti: Il ritratto e altre storie di New York nella fluida traduzione di Sofia Dilaghi (Passigli, pp. 196, € 16,50) dove vengono messe bene in evidenza le fratture tra i sessi, la rigidità delle consuetudini comportamentali, i privilegi della classe, ma anche il formarsi di una nuova borghesia e un nuovo esercito di sconfitti. Così come nei romanzi – pensiamo a L’età dell’innocenza, che nel 1921 le valse il primo Pulitzer assegnato a una donna e da cui Martin Scorsese trasse un film epico – anche in questi racconti le eroine sembrano uscire da una pinacoteca dedicata a John Singer Sargent e dimostrano, in più di un caso, il lato «consolante» dell’arte.

Triangoli imperfetti (a cura di Elena Racca Bruno, edizioni Paginauno, pp. 112, € 10,00), libretto esile e con qualche inciampo nella resa traduttiva, propone tre racconti composti negli anni Trenta: «Allegria in casa», «Atrofia» e «Il giorno del funerale». Il triangolo amoroso già esplorato in Ethan Frome (1911), novella ambientata in una gelida cittadina immaginaria del New England, rimane qui inconcluso e vincolato a rigidi controlli sociali che impediscono il coronamento dei propri desideri e condannano i protagonisti a gesti estremi, mettendo a nudo tutto il tormento di pulsioni represse e intemperie emotive.