Tensione in Ecuador dopo il ballottaggio presidenziale di domenica che ha dato la vittoria a Lenin Moreno. Ieri, con il 99% delle schede scrutinate, il candidato di Alianza Pais aveva ottenuto il 51, 16% dei voti (5.042.295) contro il 48,84% di Guillermo Lasso ( 4.813.217 voti). Il banchiere, candidato per la coalizione di destra Creo-Suma ha contestato i risultati e ha annunciato che farà ricorso all’Organizzazione degli Stati americani (Osa).

I SUOI SOSTENITORI hanno provocato scontri in alcune delle 24 province del paese e davanti alla sede del Consejo Nacional Electoral (Cne): «Che peccato – ha commentato in twitter il presidente uscente Rafael Correa – ci sono violenze a Quito, Esmeralda, Ibarra e Azogues. Quel che non ottengono nelle urne, vogliono ottenerlo con la forza». Le destre avevano annunciato l’intenzione di far saltare il banco già prima del voto. Un copione preparato in caso di scarto minimo e già visto in altri paesi dell’America latina, come il Venezuela o l’Honduras.

LASSO HA CHIESTO che vengano ricontati tutti i voti. Il Cne ha respinto l’accusa di brogli. «Tendo la mano al dialogo per preservare gli interessi nazionali», ha detto Moreno, rivolgendo un invito a «quelli che si sono allontanati. Possono esserci disaccordi – ha aggiunto -, ma con generosità e spirito costruttivo possiamo ricomporre le divergenze. È il momento della pace e dell’unione. Da domani cominciamo con il processo di transizione».

QUANDO i risultati sono apparsi irreversibili, Moreno ha festeggiato con i suoi cantando «Che Guevara». Lo ha votato il 51, 37% di donne (il 50,20% per Lasso). Originario dell’Amazzonia, Moreno, 65 anni, è stato vicepresidente dal 2007 al 2013. Nel 1988, uno sparo ricevuto a bruciapelo gli ha tolto la mobilità delle gambe, costringendolo sulla sedia a rotelle. È stato anche Inviato speciale all’Onu per l’Accessibilità e la Discapacità e proposto al Nobel. Alianza Pais ha puntato su di lui come uomo del dialogo, meno irruento di Correa, bersagliato da una furibonda campagna di discredito delle destre. Fino all’ultimo, i media privati hanno pubblicato exit poll molto sfavorevoli a Moreno, per accreditare la tesi della frode.

IL COMPITO del nuovo presidente, che assumerà l’incarico a maggio, non sarà facile. A votare per Lasso sono stati anche alcuni settori indigeni e di sinistra, convinti che il primo compito fosse liberarsi del «correismo» che a loro parere ha tradito gli ideali costituenti. Ad Alianza Pais non sono certo mancati limiti ed errori. Per il sociologo belga Francois Houtart, amico di Correa, vi sono stati grossi passi avanti sul piano dei diritti economici, ma «non ci sono state né una riforma agraria, né politiche per i contadini». Insomma, non si è dato «un progetto di trasformazione strutturale della società, ma una modernizzazione del capitalismo». In un paese di oltre 16 milioni di abitanti, i 10 anni della revolución ciudadana sono stati comunque i più stabili di tutta la storia recente.

IL BANCHIERE Lasso rappresenta il paese di prima, quello del «feriado bancario», della grande crisi economico-finanziaria che ha gettato sul lastrico i settori popolari nel 1999, distrutto la moneta nazionale e reintrodotto il dollaro. Il volto di quell’oligarchia che vuole riprendersi tutta la torta, che non investe nel paese ma nelle imprese offshore (oltre 40 quelle che possiede Lasso all’estero). Il banchiere, sostenuto dalle frazioni reazionarie dell’esercito e della polizia, ha promesso milioni di posti di lavoro. Moreno ha però ricordato ai settori popolari la trappola in cui sarebbero caduti: la stessa che ha portato alla vittoria dell’imprenditore Macri in Argentina, con risultati opposti e disastrosi.

E IL POPOLO ha dimostrato di aver capito la lezione. Già al primo turno, il referendum contro i paradisi fiscali e il patto etico proposto da Correa per impedire la fuga di capitali all’estero, è stato approvato da oltre il 50% dei votanti. Lasso, ovviamente, ha fatto campagna per il No.
ALIANZA PAIS ha anche ottenuto la maggioranza in Parlamento, e quindi la possibilità di governare evitando i ribaltoni che hanno portato al golpe istituzione contro Dilma Rousseff in Brasile o quello che le destre cercano di sferrare a Maduro in Venezuela a partire dal Parlamento. Con la vittoria di Moreno, vengono smentiti i cantori della «fine del ciclo progressista», che hanno preso voce dopo la sconfitta del chavismo alle parlamentari del 2015, la vittoria di Macri in Argentina e il No al referendum per la rielezione di Morales in Bolivia.

L’INTEGRAZIONE del continente, pur con grandi contrasti per il ritorno delle destre negli organismi regionali come il Mercosur, ha le gambe per continuare. Lasso aveva promesso di cancellare i blocchi regionali come Unasur o Alba, guidati da Cuba e Venezuela. Ma gli è andata male. Aveva anche promesso di espellere il fondatore di Wikileaks Julian Assange entro un mese. E questi, ora, gli ha intimato di andarsene entro 30 giorni. Esultano i presidenti socialisti. «La rivoluzione continua», ha detto Maduro, sotto attacco delle destre a livello interno e internazionale. Ieri, l’Osa di Almagro si è di nuovo riunita per sanzionare il Venezuela. Anche Lasso ha fatto appello a Almagro.