A nulla sono serviti finora gli appelli lanciati insieme da Legambiente, Wwf, Greenpeace, Libera e Gruppo Abele perché ai delitti ambientali venga riconosciuta quella gravità e complessità dei fatti da accertare che garantisce, con l’ultimo accordo raggiunto in Consiglio dei ministri sulla riforma della giustizia, un regime speciale ai reati di terrorismo, mafia, violenza sessuale aggravata e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.

ALLE 14 DI OGGI INIZIA l’esame da parte della Camera di questa tormentata riforma della giustizia. E arriverà nei prossimi giorni il momento di discutere gli emendamenti, prima firmataria l’on. Rossella Muroni, che possono consentire quel «ravvedimento operoso» sui delitti ambientali evocato finora invano dalla società civile, sempre che il governo mantenga l’impegno, dopo l’accordo raggiunto, di non mettere la fiducia.

È sempre sgradevole fare una «classifica» della maggiore o minore pericolosità di un delitto, soprattutto quando sono in gioco le sensibilità delle vittime. Ma davvero non si comprende secondo quale valutazione di merito la larghissima maggioranza di governo, insieme alla ministra della Giustizia Marta Cartabia e al premier Mario Draghi, ritenga più meritevoli di maggiori tutele i processi istruiti per chi è accusato di traffico di stupefacenti rispetto a quelli che vedono alla sbarra persone e società a cui viene contestato il delitto di disastro ambientale. Oppure se, come la stessa ministra Cartabia racconta in un’intervista a la Repubblica, è stato solo un «gioco di bandierine» tra le diverse forze politiche. E nessuno, nemmeno lei a dire la verità, ha «alzato» e difeso fino in fondo quella dei delitti ambientali.

I FATTI CHE REGALANO le cronache quotidiane e i numeri del lavoro svolto dal 2015 ad oggi da forze dell’ordine e magistratura basterebbero da soli per giustificare un «ravvedimento operoso» da parte del governo e di chi lo sostiene. Solo nel 2020, secondo i dati del monitoraggio svolto dal ministero della Giustizia, sono stati 883 i procedimenti penali avviati per delitti contro l’ambiente, con 2.314 persone denunciate e 824 ordinanze di custodia cautelare eseguite. Dal 2015 le inchieste sviluppate dalle procure sono state ben 4.636, le persone denunciate 12.733, quelle raggiunte da ordinanze di custodia 3.989. Solo per il delitto di disastro ambientale, i procedimenti che hanno visto impegnati in indagini complesse, anche dal punto di vista scientifico, magistrati, tecnici e ricercatori, ufficiali di polizia giudiziaria e personale delle forze dell’ordine sono stati 249.

CHE FINE FARANNO, senza ripensamenti durante il dibattito e il voto in aula, tutte queste inchieste e le aspettative di chi chiede verità e giustizia? Quale sarà il destino di processi come quello per lo sversamento in mare di milioni di dischetti di plastica dopo il “collasso” del depuratore di Capaccio Paestum? E quali speranze ha di concludersi nei tempi previsti quello frutto delle indagini per disastro ambientale sulle devastazioni causate alle scogliere e alla parte sommersa dei Faraglioni di Capri dalla pesca illegale dei datteri di mare? E perché chi quei delitti li ha denunciati, come hanno fatto i circoli di Legambiente che hanno raccolto centinaia di migliaia di dischetti finiti lungo le spiagge, deve attendere l’esito dei processi con l’ansia della scadenza dei termini previsti dal nuovo «cronometro giudiziario»? C’è una qualsiasi ragione di merito comprensibile oppure è solo il frutto del «gioco delle bandierine» in cui le ragioni della tutela dell’ambiente sono state sacrificate, ancora una volta, ad altre «priorità»?

ERA BEN ALTRO IL CLIMA politico quando, il 19 maggio del 2015, il Senato, con un’ampia maggioranza, diede il via libera alla legge 68 che introduceva, dopo 21 anni di denunce dell’ecomafia, promesse e aspettative tradite, i delitti contro l’ambiente nel nostro Codice penale. Un voto salutato dall’applauso dell’aula e dalle dichiarazioni entusiastiche di ministri e leader delle forze politiche che avevano sostenuto quella riforma di civiltà. Allora Partito democratico e Movimento 5stelle erano su fronti opposti, il primo al governo, il secondo all’opposizione. Adesso che fanno parte della stessa maggioranza, non hanno ancora trovato la forza e la volontà politica condivisa di mettere al riparo gli ecoreati, anche quelli più gravi come il disastro ambientale, dai rischi della improcedibilità.

LA MINISTRA CARTABIA invoca il rispetto dei patti da parte di chi li ha sottoscritti dopo una lunga trattativa. È la stessa richiesta fatta dalle associazioni alle forze politiche che hanno votato nel 2015 la legge con cui sono stati introdotti i delitti contro l’ambiente nel Codice penale: rispettare il patto con cui è stato garantito al Paese che sarebbe finalmente arrivato il tempo della giustizia anche in nome del popolo inquinato.

* responsabile dell’Osservatorio nazionale Ambiente e legalità di Legambiente