Le linee guida per la «fase 2» dell’ultimo Decreto della presidenza del consiglio ministri (Dpcm) ammettono, per le mascherine «di comunità», i modelli lavabili e autoprodotti, in «materiali multistrato idonei a fornire una adeguata barriera e al tempo stesso a garantire comfort e respirabilità e che coprano dal mento a sopra il naso».

In molti paesi la corsa della popolazione alle mascherine quotidiane non c’è stata. E nei paesi a basso reddito le lavabili sono preferite. Sathya, pediatra a Chengalpattu, scrive: «Molti gruppi di self-help le cuciono di cotone e le distribuiscono». Dal Burkina Faso, la volontaria Grazia Le Mura manda le foto dei bambini della casa famiglia con mascherine colorate; in commercio poi si trovano quelle lavabili made in China. Yenia, traduttrice e giornalista di Cuba, spiega: «Fin dall’inizio della crisi, la stessa tivù ha mostrato come fabbricarle di stoffa. E si è attivato anche il circuito del dono.» In Venezuela le chiamano tapaboca e la loro produzione, dice Junior, attivista comunitario, è diventata un’attività per riempire le ore di cuarentena total. Da Mosca, Elide, pittrice italiana che insegna all’orfanotrofio, ha avuto in dono una mascherina di tessuto fatta da suore coreane mentre Yulia, regista, spiega: «Ecco le mie, colorate e lavabili per usarle al supermercato. Al lavoro no. Sono obbligati a portarle solo medici, commesse e chi sta a contratto con molta gente.» Dappertutto, le regole si cui si insiste sono: «distanziamento e igiene».

Con l’iniziativa Masks4all, la Repubblica ceca invece fin dall’inizio della crisi ne ha imposto l’uso («se la portiamo tutti, tu proteggi me e io proteggo te») ma lanciando tutorial per il fai da te ecologico, perfino un modello realizzabile da tutti in 40 secondi con un foulard colorato ben piegato ed elastici. In Belgio, l’esperta di stoffe e colori naturali Anne Weiss è occupatissima: «Ne faccio di due tipi, con stoffe recuperate: uno in tre strati, cotone joli all’esterno, poliestere dentro e poi altro cotone verso il viso, taglio a coppa; l’altro, più sofisticato, vengono a chiedermelo anche i medici!»

In Costa d’Avorio, la Communauté Abel nel Grand Bassam (un progetto storico del Gruppo Abele) produce mascherine lavabili di cotone a prezzi ultrapopolari. Spiega Francesca Piccinini: «La nazione ha pochissimi casi di Covid-19 ma la strategia nazionale contempla l’obbligo di mascherina nei luoghi affollati. Quasi tutte le persone ne usano una di tessuto lavabile. Noi abbiamo coinvolto, a turno, le allieve del corso di formazione in sartoria adesso sospeso, e i nostri artigiani formatori. Il Comune ce ne ha ordinate parecchie. Sono di cotone colorato, con all’interno flanella o tela doppia o garza, seguendo il protocollo del Centro ospedaliero universitario (Chu) di Grenoble».

Si tratta del Patron pour masque de soin en tissu (il pdf è online): il Chu lo ha elaborato così da creare uno stock per quegli addetti dell’ospedale che non entrano in contatto con situazioni di rischio. Sulla rivista ACS Nano è stata pubblicata una ricerca dell’università di Chicago: nel fai da te la maggiore efficacia di filtrazione si raggiunge con l’uso di più strati di materiali diversi, come cotone-seta, cotone-chiffon o cotone-flanella. Anche lo statunitense Center for disease Control and Prevention (Cdc) spiega con testo e disegni come fare una mascherina a soffietto cucendo due strati di cotone da completare con gli elastici, e addirittura un modello senza dover cucire.

In un articolo su Evidence, la Fondazione Gimbe considera che in materia di efficacia di dispositivi anti-Covid non ci sono studi clinici ma solo studi empirici (tuttavia imperfetti), e spiega anche che «non c’è nessuna evidenza che debbano essere fatte con una tecnica o competenza particolare per impedire la trasmissione».
Fantasia italica. Si sprecano i tutorial per chi vuole farsi una mascherina, magari pescando nel giacimento di stoffe inutilizzate. Ha avuto due milioni di visualizzazioni Elicrea con il video «Mascherine senza cucire in due minuti».

Vari laboratori non profit si sono messi a cucire modelli lavabili in stoffa, magari per regalarli. Il circolo Island a Perugia con la sua sartoria realizza e distribuisce gratis «a chi ha necessità» i suoi manufatti di cotone. Preso atto che da un lato «il martellamento ha di fatto da tempo reso obbligatorio l’uso di mascherine» mentre dall’altro «lavoratori e lavoratrici sotto contratto sono ridotti a tirare avanti lavando mascherine che andrebbero invece smaltite dopo poche ore», Island insiste sulla coesione di comunità come difesa principale.

In Sardegna, nell’Iglesiente, un gruppo di donne che si occupa di erbe tintorie si è cucito le mascherine in autonomia. Una signora ottantenne ne ha prodotte 1.300 per la protezione civile, di tessuto non tessuto (Tnt), lavabili.

A Roma il laboratorio tessile Colariage coinvolge artigiani in difficoltà, richiedenti asilo e migranti per produrre colorati double face con disegni africani, tessuto impermeabile nel mezzo. Il modello si basa sulle istruzioni del ministero della salute francese e degli Stati uniti. Un produttore di tessuti e un giornalista (www.iopossouscire.eu) davanti alla prospettiva di un’inflazione di usa e getta hanno lanciato le mascherine a uso medico con certificazione Uni En 14683, resistenti, lavabili, tessuto esterno in poliestere idrorepellente, interno in cotone.

Acquistabili sul mercato mascherine riutilizzabili «omologate». Come quelle – da filiera made in Italy – della cooperativa sociale Quid di Verona, certificate Iss a uso medico, di tipo I in deroga, Co-ver. Riutilizzabili molte volte dopo il lavaggio. E convenienti anche per le tasche.

Il minuscolo comune di Rocca d’Arazzo nell’astigiano (ma ce ne sono altri) ha regalato le lavabili a ogni abitante, con un foglio di saluti, incoraggiamento e istruzioni: «è consigliabile indossarle per frequentare esercizi commerciali e luoghi pubblici. Sono di stoffa, lavabili, si consiglia di inserire come filtro una garza di tessuto-non-tessuto».

Ma la filosofia del produrre mascherine durevoli in questo periodo speciale la spiega Laura (Lalli) che vive a Perugia: «Hanno avuto una grande funzione aiutando relazioni di vicinato. Il lavoro manuale, poi, ha un potere antistress. Chi le ha cucite è certamente contro gli usa e getta. Io ho partecipato a questo fiume di sarte e sarti di mascherine, fantasiose e colorate, che hanno voluto essere vicini con un piccolo gesto agli abitanti del quartiere, magari una scusa per chiedere agli altri, specie agli anziani, come stavano. Un flusso di energie positive».

Lalli ha seguito il tutorial su Youtube «Mascherina fai da te con tasca porta filtro – riutilizzabile – cartamodello gratis»: «Per me davvero la miglior soluzione è: mascherina di stoffa e dunque lavabile, fatta con criterio, con una tasca per inserire il materiale filtrante (garze, tessuto non tessuto, carta da forno). Lavare con acqua e sapone – ce lo hanno detto tutti che elimina il virus – e asciugare ai potenti raggi Uv del sole».