Ecco perché siamo tutti sulla stessa barca
Il mare è in tempesta, e la costa lontana. Intorno, sono tante le insidie. Qualcuno ha un remo, qualcun altro un timone, e un pezzo di vela. Qualcuno ha l’acqua, […]
Il mare è in tempesta, e la costa lontana. Intorno, sono tante le insidie. Qualcuno ha un remo, qualcun altro un timone, e un pezzo di vela. Qualcuno ha l’acqua, […]
Il mare è in tempesta, e la costa lontana. Intorno, sono tante le insidie. Qualcuno ha un remo, qualcun altro un timone, e un pezzo di vela. Qualcuno ha l’acqua, qualcuno il pane. Sopra di noi ci sono le stelle, e c’è chi ha un sestante. Se mettiamo in comune le forze, gli strumenti, le competenze, forse ce la facciamo. Se ciascuno continua a tenersi ciò che ha nelle mani, anche il più bravo affonderà con gli altri. Così siamo messi, nel campo del sociale. Per questo ci siamo incamminati anche noi sulla via maestra, con un senso di urgenza, e di necessità.
Erano sulla stessa barca anche i cinquecento morti di Lampedusa. Ora sono gli ultimi nomi nella lista di almeno ventimila persone affogate nel Mar Mediterraneo, ammazzate dalla chiusura delle frontiere europee, dai dispositivi repressivi, da Frontex e dalla Bossi-Fini. A Lampedusa ancora una volta è morta la nostra pietà occidentale. E lì per sempre sarà ancorata la nostra infinita vergogna. È una vergogna italiana, prima di tutto. E’ vergognoso spostarne tutto il peso su Bruxelles, fino a che una legge del nostro stato punirà il soccorso a mare, dovere delle marinerie di tutti i tempi sin da quando un umano prese in mano un remo.
«Siamo sulla stessa barca» è anche il nome della rete unitaria migrante e antirazzista. Nella lettera di adesione al percorso che parte il 12 ottobre, hanno scritto: «Consideriamo la battaglia per l’applicazione integrale dei principi e dei valori della Costituzione Italiana come un interesse comune alle cittadine e ai cittadini sia autoctoni, sia di origine straniera. Consideriamo la battaglia per il diritto a un lavoro giusto e dignitoso come un terreno che deve ancor di più unire invece che disgregare, contrastando la logica razzista della guerra fra poveri».
La compassione non è divisibile – altrimenti è un sentimento malvagio, quello da cui nascono i mostri. A un popolo, come il nostro, che sprofonda sempre più nella precarietà e nella miseria non è concesso dimenticare il male fatto ad altri, e impegnarsi solo a difendere se stesso. A chi ancora se la cava non è concesso chiudere gli occhi, sperando che la tempesta passi e porti via qualcun altro. Se qualcuno in Italia vuole vivere così si accomodi, prima o poi arriverà la vendetta della storia. Per chi non vuole, è arrivata l’ora di muovere gambe e testa, e mettersi in cammino. Per questo abbiamo accolto con gratitudine la scelta coraggiosa delle cinque personalità che si sono poste a servizio di un bisogno avvertito da tanto e da tempo. Sappiamo che frammentati e dispersi non contiamo nulla, qualsiasi cosa importante e utile occupi le nostre giornate. Sappiamo che nulla cambieremo senza ammettere con lealtà che stiamo facendo la fine di Penelope. Ogni giorno proviamo, come siamo capaci, a tessere nei territori per riconnettere attraverso l’unica via possibile, la partecipazione, i fili fra le persone e la democrazia – che è necessaria per vedere realizzati i propri diritti. Ogni giorno quella tela viene smontata da un sistema politico screditato che però continua ad occupare militarmente lo spazio pubblico, dopo aver abdicato a qualsiasi primato sul mercato e sul profitto – gli unici che davvero dettano legge. Dobbiamo darci insieme più peso e più voce. C’è da offrire un punto di riferimento unitario e una speranza alle tante persone per bene e frustrate di questo paese. C’è da ricostruire lo spazio pubblico partecipato e popolare per salvare democrazia e diritti – poichè nessuna politica è degna di questo nome e dei suoi compiti se non è fatta dalla polis e nella polis, dal basso e nel basso dove sta la vita. Altro che fare un partito, c’è da ricostruire da capo la catena della sovranità democratica, quella che appartiene al popolo, come dice la nostra bussola – la Costituzione. È un ambizione più grande, ma di meno non si può provare a fare. Non è detto che ci riusciremo. A farci del male da soli, siamo spesso campioni. Ma questa volta la partenza è buona, e soprattutto la via è tutta aperta. Aperta a chiunque vorrà aggiungersi, perché la Costituzione è di chiunque le obbedisca. È aperta perché la storia non è già dettata, e ci vorrà l’intelligenza e la creatività di tutti per scriverla.
* presidenza nazionale Arci
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