Anche la tanto attesa e invocata – a cominciare dal capo dello Stato – riforma del Consiglio superiore della magistratura deve fare i conti con le risorse economiche. Ed è soprattutto per questo motivo che la ministra della giustizia ha frenato sul ventilato allargamento del Consiglio da 27 a 33 componenti, di cui 20 (da 16) magistrati eletti. Cartabia ha spiegato ieri ai rappresentanti della maggioranza che punta a far approvare entro natale il suo maxi emendamento al vecchio disegno di legge Bonafede dal Consiglio dei ministri. E ha incassato un sostanziale via libera alla sua proposta di nuova legge elettorale per la componente togata, malgrado non si tratti della rivoluzione invocata. Resta il sistema maggioritario, ma in luogo degli attuali tre collegi divisi per funzione ci saranno sette collegi “binominali”, in cui vengono eletti cioè i primi due. Nel collegio della Cassazione non cambierà nulla. Per i giudici i collegi da uno passano a quattro e per i pm da uno a due. Oltre ai primi due di ogni collegio, risulteranno eletti i due migliori terzi, calcolati in proporzione ai voti validi e dunque difficilmente prevedibili dalle correnti. Ma se il totale delle toghe del Consiglio, una volta reperite le risorse necessarie, dovesse salire da 16 a 20 rispettando le attese, a quel punto tutti i migliori terzi sarebbero eletti e il sistema cambierebbe assai.

Del resto non è dal sistema elettorale del Csm che ci si può attendere quel freno all’influenza delle correnti che tutti auspicano, anche la ministra ne è consapevole e lo ha ammesso con i suoi interlocutori, ricevuti ieri dal mattino presto una delegazione di partito alla volta. Le altre novità della legge elettorale sono che se non ci saranno almeno sei candidati per collegio, o se un genere sarà sotto rappresentato, le liste saranno integrate con sorteggio. La parità nelle candidature non garantisce affatto parità negli eletti, dunque il Pd ha chiesto di prevedere un meccanismo per il quale se non c’è alternanza di genere tra i vincitori di un collegio il secondo viene sostituito scorrendo le liste. Leu ha invece chiesto di aumentare il numero dei collegi per i giudici da quattro a cinque. Altre correzioni nel funzionamento del Csm riguardano le nomine per gli incarichi direttivi e semi direttivi che si cercherà di ancorare ancor di più a criteri oggettivi (raccogliendo anche il parere degli avvocati che siedono nei consigli giudiziari) e le commissioni. In particolare i componenti del collegio disciplinare non potranno più far parte delle commissioni più importanti del Consiglio (accesso in magistratura e mobilità, conferimento incarichi direttivi, incompatibilità e valutazioni di professionalità).

Le novità nell’ordinamento giudiziario incidono su alcuni problemi aperti, per esempio quello delle cosiddette “porte girevoli” tra politica e uffici giudiziari. Le indicazioni sono quelle della commissione Luciani, che ha previsto l’incompatibilità anche per le cariche elettive minori (mai più casi Maresca) e la necessità che i magistrati si fermino per un periodo lungo – 3 o 5 anni – prima di tornare nei ruoli al termine di un mandato elettorale. Prevista una stretta anche sui fuori ruolo, abbassando l’attuale tetto di 200 magistrati impegnati nei ministeri e negli altri organi costituzionali e prevedendo un limite di 10 anni per gli incarichi extra giudiziali (ai quali un magistrato potrà accedere dopo almeno 10 anni di servizio). Infine tra le proposte della ministra c’è il ritorno della laurea abilitante: gli aspiranti magistrati non dovranno più svolgere un dottorato o frequentare una scuola di specializzazione prima di tentare il concorso. Dove però dovranno affrontare più prove scritte, proprio quelle che hanno fatto cadere il 94% dei partecipanti all’ultimo concorso.