Le spiagge di Zuwara, città costiera della Libia proprio di fronte all’Italia, sono disseminate di cadaveri come non si vedeva dal periodo più incandescente della guerra civile scoppiata quattro anni fa, quando la piazza principale era teatro giornaliero delle scorribande di diverse tribù in lotta nella zona. Solo che adesso i corpi che affiorano e che la gente cerca di portare a riva e lavare con acqua pulita, secondo i doveri dell’Islam, per poi procedere alla sepoltura, sono i corpi dei migranti.

Hussein Asheini, locale capo della Mezzaluna Rossa, intervistato da Al Jazeera, dice che ne sono stati raccolti già 105, che pare siano africani e che tra questi ci sono 9 donne e 2 bambine. Ma il bilancio è del tutto provvisorio. Gli abitanti di Zuwara sanno bene che quei barconi di legno come il peschereccio affondato a un miglio dal porto la sera di giovedì trasportano di solito tra le 300 e le 400 persone, stipate fin nella stiva. Zuwara prima della guerra era una cittadina fiorente, dove sorgeva una grande fabbrica di prodotti chimici e altre di ceramica e vetro. Quando le fabbriche sono state distrutte, alcuni degli abitanti si sono riconvertiti al traffico di esseri umani. Giovedì sera gli abitanti hanno inscenato una protesta contro i contrabbandieri di corpi. Forse per ripulirsi la coscienza rispetto ai dettami del Corano, o magari per far vedere che Zuwara non è solo un nodo strategico della rotta del Mediterraneo centrale. Magari sono stati gli stessi scafisti, che non potendo nascondere o negare che il peschereccio fatiscente sia partito da quel porto, hanno organizzato il mini-presidio. Le foto pubblicate da un fantomatico Zuwara Media Center mostrano vecchi e bambini stranamente sorridenti che imbracciano cartelli su cui gli scafisti vengono definiti «vampiri» e collage di macabre foto di naufraghi scattate chissà quando.

Il sito del Guardian riporta le dichiarazioni di Mohsen Ftis che sostiene di essere il referente a Zuwara per Medici senza Frontiere. Ftis afferma che quando il barcone, appena partito con il suo carico di esseri umani, ha cominciato ad avere problemi al motore e a imbarcare acqua, i pescatori e una motovedetta della locale guardia costiera sono accorsi. Racconta che hanno dovuto demolire il ponte per vedere se sotto, nella stiva, ci fosse ancora qualcuno intrappolato. E che hanno portato in salvo 110 migranti ancora in vita. I libici si sarebbero anche tuffati in acqua per vedere se riuscivano a salvare qualcun altro dall’annegamento ma poi «non avevamo più luce», dice Ftis, e sono tornati indietro, lasciando le decine e decine di cadaveri tra le onde. Troppi per essere raccolti. «Siamo tutti volontari, non pagati», spiega precisando che è un veterinario ad esaminare i cadaveri, mancando del tutto in città un medico legale. «Ma ha una certa esperienza, ormai, ne ha visti tanti».

I superstiti, circa 150 persone, incluso altri migranti già catturati in precedenza, sarebbero stati trasferiti nel campo di detenzione di Sabratha. Il che non fa pensare niente di buono sulla loro permanenza in Libia. Sabratha è un’antica città costiera a una quarantina di chilometri da Tripoli, in direzione del confine tunisino, ed è nota per essere una delle roccaforti dell’Is e dei trafficanti di esseri umani, che spesso sono le stesse persone. Il campo, che serve anche per l’addestramento di jihadisti e miliziani, sorge nell’ex complesso militare di El Agelat ed è lì che sarebbe stato istruito alle tecniche di guerriglia il giovane tunisino Seifeddine Rezgui, accusato di aver preso parte all’attentato contro i turisti nel museo del Bardo a Tunisi nel luglio scorso, secondo gli inquirenti.

Quando il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ieri, di fronte all’ondata migratoria che si sta abbattendo in queste settimane sull’Europa sferza le autorità comunitarie a operare «una stretta contro i trafficanti di esseri umani», forse fa finta di non sapere che i caso “la stretta” fosse da intendere come un bombardamento delle basi dell’Is sulle coste libiche, i migranti potrebbero essere usati come scudi umani.

L’Unhcr, l’agenzia dell’Onu sui rifugiati, fa sapere in un dettagliato rapporto, che i migranti che hanno tentato la traversata del Mediterraneo quest’anno sono già quasi 300mila (200mila sulla rotta a Est verso la Grecia, quasi 110mila verso l’Italia), tra i quali 2.500 non ce l’hanno fatta: morti o dispersi. Ad aprile erano 135mila e o l’anno scorso in tutto 137mila. L’Onu ricorda che l’impennata estiva, oltre alla fuga dalle guerre in corso, dipende da una progressiva chiusura dei canali d’accesso all’Europa e si appella alle istituzioni per una risposta congiunta «improntata a criteri di umanità e rispetto degli obblighi internazionali».