«L’epidemia di Ebola in Africa Occidentale costituisce un ‘evento straordinario’ e un rischio di salute pubblica per gli altri Stati. Ci sono le condizioni per dichiarare l’epidemia un’emergenza di salute pubblica internazionale». Dopo due giorni di riunione a porte chiuse a Ginevra è questo il verdetto annunciato ieri dal Comitato d’emergenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).
«Uno sforzo coordinato a livello internazionale è indispensabile per fermare la diffusione del virus», ha spiegato il segretario generale dell’Oms Margaret Chan che ha definito l’epidemia di ebola in corso come «la peggiore che si sia avuta in almeno 40 anni».

Keiji Fukuda, vicesegretario dell’Oms, non ha fatto mistero del fatto che la situazione è destinata a peggiorare nei prossimi mesi: «La probabilità è che le cose andranno peggio prima di migliorare. Abbiamo preparato raccomandazioni sia per gli stati affetti che per quelli che ancora non lo sono. La prima è che tutti i paesi in cui c’è trasmissione del virus dichiarino lo stato di emergenza nazionale. Tutti i paesi devono essere pronti ad accogliere potenziali casi».

Mercoledì scorso è stato il presidente liberiano Ellen Johnson-Sirleaf a dichiarare lo stato di emergenza di 90 giorni che consente al governo di limitare i diritti civili e schierare truppe e forze di polizia per imporre quarantene sulle comunità colpite.
Tra le raccomandazioni dell’Oms illustrate ieri in conferenza stampa non risultano restrizioni internazionali ai viaggi per evitare il contagio da Ebola, mentre per i paesi dove l’epidemia è presente tutti i passeggeri di porti e aeroporti in uscita dovranno essere sottoposti a test di controllo.

Le misure di prevenzione sarebbero sufficienti a garantire la sicurezza di passeggeri ed equipaggi mentre, ha sottolineato Chan, per la quale «Interrompere i voli rischia di mettere in ginocchio le economie di quei paesi».

Stando agli ultimi dati forniti dall’Oms il numero totale di casi nei quattro paesi dell’Africa occidentale colpiti si attesta a 1711, con 932 decessi. Nello specifico, alla data del 4 agosto, in Guinea, si registravano 495 casi di cui 363 decessi; in Liberia, 516 casi di cui 282 decessi; in Nigeria, 9 casi di cui 1 decesso; e in Sierra Leone, 691 casi di cui 286 decessi. Nessuna delle società minerarie che operano in questi paesi hanno per ora segnalato casi di Ebola. Molte, però, hanno annunciato la riduzione di accesso ai loro siti e lo stop a operazioni non essenziali.

Scoppiata in Guinea nel mese di febbraio l’epidemia (che sta registrando un tasso di mortalità pari a circa il 60% e per cui non esistono al momento né cure né vaccini testati) si è diffusa nei mesi scorsi in Liberia, Sierra Leone e recentemente in Nigeria.
Il primo europeo infettato, il sacerdote spagnolo Miguel Pajares è stato rimpatriato dalla Liberia e si trova da giovedì in quarantena presso l’ospedale Carlos III di Madrid insieme a suor Juliana Bohi risultata invece negativa al test.

Sono in isolamento nel reparto di malattie infettive dell’Emory University Hospital di Atlanta i due cittadini americani che hanno contratto il virus in Liberia. Si tratta di una missionaria, Nancy Writebol, e di un medico, il dottor Kent Brantly entrambi operatori del team attivo a Monrovia gestito dalle associazioni umanitarie cristiane di Sim Usa e Samaritan’s Purse. Sono attualmente trattati, e stanno rispondendo bene, con un farmaco sperimentale, lo ZMapp. Somministrazione a cui non avranno invece accesso, almeno per ora, i malati di ebola dell’Africa occidentale per via delle quantità limitate a disposizione. «Al momento i farmaci sperimentali sono disponibili solo in piccolissime quantità, e ci sono diverse questioni etiche e mediche da risolvere» ha dichiarato l’Oms che ha convocato per lunedì prossimo una riunione di esperti per fornire delle linee guida a medici e aziende farmaceutiche per l’eventuale fornitura di farmaci sperimentali ai quattro paesi colpiti dall’epidemia. «Dare trattamenti e vaccini privi di licenza e non testati (almeno sull’uomo) è una questione etica molto spinosa», sostiene sul [/ACM_3]Guardian Jonathan Ball, professore di virologia molecolare presso l’Università di Nottingham. Mentre a chiedere la rapida istituzione di «protocolli rigorosi per lo studio di interventi sperimentali», in modo da garantire ai paesi africani lo stesso accesso di quelli occidentali alle terapie funzionanti, è il professore Jeremy Farrar, direttore del Wellcome Trust. In Italia intanto un nuovo farmaco è allo studio a Padova da parte del gruppo di Giorgio Palù, presidente della Società Europea di Virologia.

Che lo stato di allerta fosse alto era già stato evidenziato dalla stessa convocazione di una sessione di emergenza dell’Oms. Consultazioni di questo tipo sono infatti relativamente rare. Incontri del genere si sono tenuti quest’anno per la polio e l’anno scorso per la Sindrome Respiratoria Mediorientale (Mers). Prima ancora, l’ultima riunione di emergenza dell’Oms risale al 2009 durante l’epidemia dell’influenza H1N1, nota come «suina”.