Più passano i giorni – e con la fiducia sul decreto Imu ne passerà ancora uno prima che la legge elettorale possa muovere un passo in commissione alla camera – più la proposta Renzi-Berlusconi-Alfano guadagna critici. Che vedono all’orizzonte una nuova censura della Corte Costituzionale. L’elenco delle modifiche necessarie al testo – che stasera diventerà la base per la discussione, si fa per dire, parlamentare – si allunga. Ma i deputati della minoranza Pd sono preoccupati innanzitutto di non finire stretti nel ruolo dei difensori dello status quo. Facendo così il gioco di Renzi, brusco «innovatore». Abbondano per questo in promesse di «collaborazione», quando preannunciano i loro emendamenti. Non basta. Secondo il renziano Faraone «vogliono tenersi il proporzionale e pure il senato».

Giovani turchi, bersaniani, bindiani: nella galassia che seguiva l’ex presidente Cuperlo ci sono gradi di animosità crescente vero l’Italicum. Ieri pomeriggio, dopo una riunione, si è concordato però che sulle proposte di modifica verrà prima cercato un accordo con il resto della maggioranza. Renzi ha benedetto: «Sì a modifiche se ci stanno tutti». E minacciato: «Se i franchi tiratori colpiscono la legge affossano la legislatura». Con Forza Italia l’intesa è possibile solo su due modifiche: la soglia di sbarramento per i partiti coalizzati (interessa soprattutto Lega, il Ncd e Sel) si può abbassare dal 5 al 4 percento. E può essere previsto l’obbligo di alternanza uomo-donna nelle candidature. Stop. Resterebbero fuori altre richieste importanti: alzare la quota necessaria per avere accesso al premio di maggioranza al primo turno (dal 35 al 40 percento), abbassare lo sbarramento previsto per le liste non coalizzate (adesso all’8%) e soprattutto – nel senso che sarà l’argomento di maggiore campagna – introdurre le preferenze. Berlusconi su questo non apre spiragli. Mentre resta intatto il problema del super premio di maggioranza. Quello che può finire a un solo partito, quando gli alleati non superano lo sbarramento. È il «baco» dell’Italicum, in ragione del quale il doping del maggioritario può toccare vette persino superiori a quelle raggiunte dal Porcellum.

Per gli emendamenti c’è pochissimo tempo. Il percorso accelerato deciso dai capigruppo prevede tre sedute in commissione e due in aula: la legge andrà approvata entro venerdì. Ma c’è un’altra incognita sul testo, anzi due. Sono le due tabelle annunciate come allegate ma che allegate non sono. Dovrebbero indicare le nuove, e più piccole, circoscrizioni, quelle dove si eleggono da tre a sei deputati. L’esperienza dell’ultima revisione legata al cambio di sistema elettorale (ma nel frattempo c’è stato anche un nuovo censimento) suggerisce prudenza: nel 1993 ci vollero tre mesi di rimpallo tra governo e parlamento. Anche stavolta l’orientamento è quello di affidare il lavoro all’esecutivo, mediante una delega.

Nel frattempo Beppe Grillo, ieri in visita al parlamento, sostiene che l’unico obiettivo della riforma è quello di escludere il Movimento 5 Stelle. Che, nella sua previsione, sfiderà Renzi al ballottaggio, avendo però contro Forza Italia che finirebbe per scegliere il Pd. Il contrario, cioè, di quello che è nei fatti accaduto a Parma, e ha determinato la vittoria del sindaco grillino. Non mancano nemmeno in questa occasione i parlamentari «dissidenti», che fanno notare come i cinque stelle si siano esclusi volontariamente dalle trattative per la riforma del Porcellum, ma Grillo si occupa soprattutto di Napolitano, colpevole di «non dire nulla» di fronte a una legge che va contro le indicazioni della Consulta. Forse non è questo il momento, ma ha ragione: all’atto dell’eventuale promulgazione, spetterà al presidente verificare se l’Italicum, come pare a molti costituzionalisti, sia in manifesta violazione delle recentissime indicazioni della Consulta. Il problema di Grillo, però, è ancora un altro. La nuova legge non prevede infatti la figura del leader della coalizione. L’unica che il fondatore del M5S potrebbe ricoprire, non essendo candidabile. Con questa legge sarebbe costretto a mettere il suo nome sul simbolo, come Berlusconi.