Quattro zero tre. Ce lo ricorderemo, questo numero. Con sollievo, certo. Ma ancora più incolleriti per questo sbarramento elettorale ingiusto e bastardo, pensato e agito proprio per eliminare quelli come noi. Quelli che come noi sentono il bisogno di esprimere e praticare una politica altra, estranea alle liturgie di palazzo, insofferente alle appartenenze coatte, desiderosa di libertà e democrazia. Per la lista «L’altra Europa» era una soglia materiale ma anche psicologica. L’abbiamo superata per un sospiro, ma l’abbiamo superata. Avremo i nostri eletti nel parlamento europeo e, quel che più conta, abbiamo avviato un progetto molto più largo e ambizioso.

Il progetto di riaprire una prospettiva di sinistra nel nostro paese, in un paese che l’ha intenzionalmente liquidata o forse solo smarrita.
Ora comincia l’avventura; domenica notte ne è stato il sofferto preludio. Da qui in poi si fa sul serio. Si ricostruisce un senso e anche un immaginario che negli ultimi decenni sono stati sistematicamente impoveriti, scarnificati, fino a polverizzarli del tutto. E lo si fa nel fuoco della battaglia politica, bruciandosi le mani e masticandone il fumo.
C’è da scoprire insieme una nuova forma della politica, inventando il come si fa e praticando il come si deve. Esattamente come, pur tra imperfezioni e incompiutezze, si sono mossi i comitati elettorali della nostra lista (che elettorali non sono stati del tutto). Costruendo pezzo per pezzo un embrione di soggettività politica, tra vecchi militanti e giovani attivisti, tra persone apparse o riapparse e debuttanti assoluti. È l’intelaiatura su cui far poggiare questa coalizione tra forze politiche e forze sociali, che al più presto ha bisogno d’incamminarsi in un processo aggregante, miscelandosi ancor più di quanto sia successo in campagna elettorale e soprattutto accogliendo chi finora ha preferito guardarci da lontano.
C’è insomma da superare il rischio che, finita la corsa elettorale, in alcuni possa affiorare la tentazione di tornare ai propri ridotti, a quei blocchi di partenza da cui, a volte con fatica, si era partiti. Un rischio che non si elimina attraverso quei diplomatismi, spesso stucchevoli, che nel passato hanno finito per opacizzare anche le intenzioni migliori. Al contrario, si tratta di convogliare questo prezioso patrimonio politico unitario direttamente nel circuito delle pratiche politiche, nel vivo delle lotte. Sul modello del movimento per l’acqua pubblica, “troppo” impegnato nella battaglia referendaria per dilungarsi in confronti e discussioni. Vivere insieme campagne politiche, obiettivi da raggiungere, risultati da conseguire consolida le relazioni e ammorbidisce gli spigoli. Un processo di ricomposizione si ricompone ricomponendosi.
È per questa ragione che i più adatti (i più titolati) a condurre, gestire la nuova fase sono proprio i comitati ex-post elettorali. Che dovrebbero rivendicare questa funzione, anche a costo di autoconvocarsi e così imprimere le necessarie accelerazioni. La Fenice rinasce se non ha le ali impolverate, se può slanciarsi in volo senza le zampe appesantite.
Del resto, l’urgenza d’intraprendere un nuovo cammino è innegabile. A ricordarcelo sono gli stessi risultati elettorali, e non solo nostri, anzi soprattutto quelli degli altri, con un partito democratico all’inizio di un ciclo ancora più dannoso di quanto finora abbia lasciato vedere. Unico partito in Europa che contiene in sé, senza ulteriori apporti, quel modello di larghe intese che continuerà a produrre miserie e ingiustizie. E verso cui è indispensabile contrapporre una corposa battaglia di opposizione.