Siamo rientrati in un incubo collettivo. Dove è finita l’Italia indicata dall’Oms, a settembre, come un modello da seguire? Guardavamo con sufficienza i paesi europei entrati nell’occhio malefico della pandemia pensando già al Recovery Fund e a grandi progetti da presentare a Bruxelles.

In meno di due settimane è cambiato tutto. Gli esperti l’avevano preannunciato in estate, sia pure con cautela: una seconda ondata sarebbe stata molto probabile. Non gli abbiamo voluto credere, e soprattutto abbiamo fatto ben poco per prevenire, per correre ai ripari ai primi segnali che arrivavano dal resto d’Europa, come se il Bel Paese grazie a una sorta di buona stella – il sole, la dieta mediterranea, il buon governo… – ci avesse immunizzato.

Non bisogna essere scienziati per capire che quando la curva della pandemia mostra una crescita iperbolica abbiamo poco tempo per correre ai ripari. Il nostro sistema sanitario, se non si rallenta l’espansione dei contagi, non è in grado di reggere. Soprattutto nel Mezzogiorno, dove le Regioni hanno fatto ben poco per adeguare i reparti destinati alle terapie intensive, sia come posti letto a disposizione che come personale. Le nuove assunzioni di medici e infermieri sono state o inadeguate, o addirittura non ci sono state, e oggi ci troviamo in una situazione che potrebbe superare quanto abbiamo visto nella scorsa primavera in Lombardia.

Purtroppo, la paura avanza a passi da gigante e sinceramente non vorremmo essere nel ruolo di governatori o premier. Se chiudiamo tutto, o quasi, rischiamo di vedere affossata una debole ripresa economica e, soprattutto, di sotterrare quel poco di speranza e progettualità che si stava ricostruendo. Senza contare i milioni di lavoratori precari, piccoli imprenditori, che finiscono nella miseria e nella disperazione. E’ una situazione simile alla condizione di chi sta per affogare e si è salvato, ma al momento di essere soccorso e salire su una nave cade di nuovo in acqua in maniera rovinosa.

Se invece, continuiamo con blande misure anticovid che colpiscono più l’immaginario collettivo che il virus, allora rischiamo la catastrofe umanitaria con gli ospedali che scoppiano, file di ambulanze di fronte al pronto soccorso, persone gravemente malate che rimangono a casa senza cure. In pratica ci troviamo di fronte a quella doppia epidemia disegnata nell’editoriale di domenica scorsa («Il sintomo di un’altra epidemia»)..

Se possiamo fare un paragone, con i dovuti distinguo, è quello con la crisi da stagflazione che colpì l’economia occidentale, e in special modo la nostra negli anni ’80. Allora, stagnazione economica ed alti tassi d’inflazione ponevano i governi di fronte al dilemma: combattere l’inflazione riducendo la liquidità del sistema, oppure rilanciare l’economia uscendo da una lunga stagnazione. Nel primo caso si abbassava la crescita dei prezzi ma si aggravava la recessione e aumentava la disoccupazione già alta in quel decennio. Nel secondo caso si favoriva un ulteriore crescita dell’inflazione che colpiva il potere d’acquisto dei ceti a reddito fisso e le fasce più deboli della popolazione.

La maggior parte dei governi adottarono una politica dello “stop and go”, che tradotto in altri termini significa “un colpo al cerchio e una alla botte”. Ma, alla fine la via d’uscita si trovò con una ristrutturazione del mercato mondiale, attraverso il decentramento produttivo dell’industria manifatturiera, una compressione dei salari (che in Italia si concluse con la cancellazione della scala mobile), e la vittoria della Thacher in Inghilterra e Reagan negli Usa che inaugurarono l’era neoliberista. Speriamo che nel nostro caso non finisca così!

Certamente non ci troviamo di fronte ad una semplice scelta tra la salute e l’economia, ad una scelta tecnica, ma politica che ridisegnerà il nostro futuro. Se vogliamo salvarci dal Covid 19 (ormai sarebbe più corretto chiamarlo Covid 20) dobbiamo avere il coraggio di scelte drastiche. La politica dei piccoli passi non paga e ci porta nel baratro.

Se dobbiamo rallentare la diffusione della pandemia perché le nostre strutture sanitarie non sono in grado di reggere allora finiamola con questi provvedimenti a macchia di leopardo. Allo stesso tempo garantiamo a tutte le categorie colpite, compresi precari e disoccupati, inoccupati, un reddito di base, a cui accedere immediatamente senza farraginose procedure. Inoltre, per non continuare a indebitarci, facciamo pagare chi ha continuato a guadagnare da questa situazione, a partire dal mondo della finanza, dagli speculatori che hanno festeggiato durante questo crollo dell’economia reale. Ieri il governo spagnolo di Sanchez e Iglesias ha fatto una scelta di indubbio rilievo proponendo una tassa sui grandi patrimoni.

In una situazione come questa si impongono drastiche scelte di redistribuzione della ricchezza nazionale, se vogliamo evitare che il paese vada verso il default e la maggioranza della gente s’impoverisca.