Netanyahu? «È soltanto un’operazione di immagine»
Israele/Territori Occupati Con queste parole Dror Ektes descrive la linea del "pugno di ferro" contro gli estremisti ebrei annunciata dal premier dopo l'uccisione del piccolo palestinese Ali Dawabsha. Due coloni sono agli "arresti amministrativi", un altro viene interrogato. Ma i leader dei gruppi più violenti restano per ora intoccabili.
Israele/Territori Occupati Con queste parole Dror Ektes descrive la linea del "pugno di ferro" contro gli estremisti ebrei annunciata dal premier dopo l'uccisione del piccolo palestinese Ali Dawabsha. Due coloni sono agli "arresti amministrativi", un altro viene interrogato. Ma i leader dei gruppi più violenti restano per ora intoccabili.
«Questi arresti sono un’operazione di immagine, rivolta all’opinione pubblica internazionale. (Il premier) Netanyahu sa che questi fanatici con le loro azioni violente danneggiano i piani per la colonizzazione dei Territori (palestinesi occupati) che lui ed il suo governo portano avanti». Il ricercatore israeliano Dror Ektes, esperto di colonie ebraiche, boccia senza appello la “linea dura” che il governo israeliano ha annunciato nei confronti delle frange più radicali della destra e del movimento dei coloni. «Gli stessi rappresentanti istituzionali dei coloni chiedono che i violenti siano puniti – ci spiega Ektes – perchè desiderano che ritorni la calma al più presto. L’uccisione del bambino palestinese (Ali Dawabsha) ha fatto rumore all’estero e riportato l’attenzione sull’illegalità degli insediamenti ebraici. I capi dei coloni perciò – aggiunge il ricercatore – chiedono una parvenza di legge e ordine sul terreno per continuare nell’ombra a strappare terre ai palestinesi e ad espandere gli insediamenti». Un giudizio secco quello di Ektes, condiviso probabilmente dai palestinesi che ridimensionano la portata del “pugno di ferro” di Netanyahu non destinato a modificare o rallentare i piani per la crescita delle colonie.
D’altronde ben poco resta dell’onda di sdegno suscitata dal rogo doloso innescato da coloni a Kfar Douma (Cisgiordania) in cui è bruciato vivo Ali Dawabsha. La “linea dura” di Netanyahu interessa sempre meno i principali giornali israeliani, a meno di una settimana dall’uccisione del bimbo palestinese. Ieri Israel HaYoum, megafono del primo ministro, ha aperto sulla morte di un soldato, stroncato dal gran caldo nella città vecchia di Gerusalemme. Yediot Aharonot ha invece scelto la “riduzione rivoluzionaria” dei prezzi del trasporto pubblico. Ha fatto eccezione, ma non sorprende, il liberal Haaretz che ha riportato con evidenza l’ordine di custodia cautelare emesso dal procuratore generale Yehuda Weinstein nei confronti di tre attivisti dell’estrema destra. Un passo che ha trovato ampio spazio sulla stampa internazionale. Così un colono 18enne, Mordechai Ben Gedalia (Mayer), è ora noto ovunque come il primo cittadino ebreo posto in “detenzione amministrativa” negli ultimi 10 anni. In sostanza è in carcere senza processo, una sorte toccata a diverse migliaia di palestinesi a partire dalla Prima Intifada (al momento sono 379 su un totale di circa 6 mila detenuti politici palestinesi). Ben Gedalia è sospettato di aver partecipato agli incendi dolosi nella Chiesa della Dormizione (Gerusalemme) e nella Chiesa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci (Tiberiade). Potrebbe seguirlo Eviatar Slonim, un altro colono ebreo con precedenti per aggressioni a palestinesi e per attacchi a chiese e moschee. E “sotto torchio” resta un presunto teorico della destra ebraica, il 23 enne Meir Ettinger, nipote del rabbino Meir Kahane, fondatore del gruppo Kach anti-palestinese e razzista. Tutti e tre però non sono stati collegati all’attacco contro la casa della famiglia Dawabsha.
In realtà lo Shin Bet, il servizio per la sicurezza interna, conosce alla perfezione e da anni capi, militanti, azioni e motivazioni della galassia dell’estremismo ebraico religioso e nazionalista. A cominciare dal gruppo del “Price tag” responsabile di buona parte degli incendi dolosi e degli attacchi contro villaggi palestinesi e siti religiosi islamici e cristiani registrati in questi ultimi anni. Ma il servizio di sicurezza continua ad agire contro queste persone con il fioretto e non con la sciabola che usa quando si occupa dei palestinesi. Davanti agli occhi di tutti c’è il gruppo “Lehava” di Benzi Gopstein. Nato per «combattere l’assimilazione degli ebrei e i matrimoni misti», “Lehava” con il tempo si è rivelato una organizzazione-ombrello dalla quale entrano ed escono kahanisti come Meir Ettinger, Baruck Marzel e Itamar Ben Gvir, esponenti della destra estrema laica come Michael Ben Ari, i coloni che fanno capo al consigliere comunale di Gerusalemme Arie King, i “Giovani delle colline” (della Cisgiordania occupata) e i tifosi dei club di calcio Betar Gerusalemme e Maccabi Haifa, noti per la loro violenza a sfondo razzista. Anche lo scorso novembre, quando alcuni militanti di “Lehava” finirono in manette per l’incendio della scuola arabo ebraica di Gerusalemme “Hand in Hand”, il governo Netanyahu condannò l’accaduto e annunciò misure punitive eccezionali. Il loro capo Benzi Gopstein fu arrestato ma rimase in prigione appena un paio di giorni. Qualche mese dopo riapparve come “opinionista” a un talk show della rete televisiva “Canale 10”.
A “Lehava” si aggiungono sempre, più numerosi, gli attivisti delle organizzazioni che chiedono la “redenzione” del Monte del Tempio, l’area nella città vecchia di Gerusalemme dove, secondo la tradizione biblica, sorgevano il primo e il secondo Tempio ebraico, che però da 1300 anni ospita la Cupola della Roccia, la moschea dalla cupola dorata che assieme a quella di al Aqsa rappresenta il terzo luogo santo dell’Islam. Con la loro richiesta di entrare sulla Spianata delle Moschee, appoggiata da diversi ministri e numerosi parlamentari, i militanti del della costruzione del “Terzo Tempio” rischiano di scatenare una escalation a Gerusalemme.
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