Non c’è verso. Se Draghi fa un passetto avanti, sventolando sotto il naso di Renzi (o di Hollande a Parigi) la bandierina della flessibilità del patto di bilancio europeo, da Berlino c’è sempre qualcuno che richiama gli allievi discoli a tornare sulla retta via: quella dell’austerità, della deflazione, della precarizzazione, del rispetto del deficit al 3% e del taglio dell’ingombrante debito pubblico.

Dopo la Bundesbank, ieri è stato il turno del ministro delle Finanze tedesco. Il ministro che in un ritratto memorabile il premio Nobel dell’economia Paul Krugman ha descritto come un penitente fustigatore, un chierico intento a redimere i peccati dei “paesi cicale” dell’Europa del Sud. E così è stato anche ieri.

Il falco tedesco è tornato sul discorso del governatore della Bce Mario Draghi al summit dei banchieri centrali di Jackson Hole. Secondo il ministro tedesco le sue parole «sono state interpretate troppo in una direzione», cioè quella di un eventuale allentamento del rigore. «Conosco Draghi molto bene, credo sia stato frainteso», ha detto, aggiungendo che
«abbiamo bisogno di riforme strutturali in Germania e in Europa per assicurare la nostra competitività» e che sono ancora da migliorare le infrastrutture pubbliche e i mercati finanziari devono essere resi più efficienti e competitivi. Infine, «i Paesi che si sono sottoposti a piani di salvataggio hanno fatto passi avanti enormi».

L’effetto sulle borse è stato depressivo, non che prima avessero brindato, ma per ragioni opposte. I “mercati” vogliono la droga monetaria da Draghi, sul modello del “quantitative easing” americano o giapponese. Draghi nicchia, perché teme la formazione di bolle finanziarie devastanti. E le borse si deprimono.

E così è stato ieri, ma per ragioni diverse. Le Borse del Vecchio Continente, che avevano recuperato terreno con l’apertura positiva di Wall Street, si sono abbattute. Schauble ha confermato quello che gli investitori sanno benissimo. E’ improbabile che Draghi avvii un piano di ‘quantitative easing’ stile Fed già la prossima settimana quando il consiglio direttivo si riunirà per la consueta riunione mensile.

Milano ha tenuto botta e ha chiuso a +0,57%, deboli Londra (+0,12%) e Parigi (+0,04%), negativa Francoforte (-0,19%). È risalito invece dai minimi da un anno a questa parte l’euro, riportandosi sopra quota 1,32 dollari. Sul mercato obbligazionario il Tesoro ha ha incassato un buon risultato, vendendo tutti i 7,5 miliardi di euro di Bot semestrali con tassi in calo al minimo storico dello 0,136% dallo 0,236% dell’operazione precedente. Lo spread Btp-Bund ha chiuso a 148 punti base col rendimento del decennale in discesa al 2,38%, segnando un nuovo minimo record.

E’ dunque assodato che il “credit easing” promesso da Draghi non è l’alluvione di moneta stampata dal nulla dalla banca centrale Usa. Speranze deluse anche per il premier francese Manuell Valls la cui unica speranza di sopravvivere politicamente è che Draghi metta mano al suo bazooka. Speranza che si riduce a un fiato di voce: «Ho completa fiducia nel fatto che la Bce garantirà il suo mandato di un’inflazione vicina al 2% usando tutti i mezzi disponibili, ma il tempo passa», ha detto Valls, in apertura del congresso estivo del Medef, la Confindustria transalpina. «La Bce ha fatto una mossa positiva a inizio giugno» per «sostenere la crescita», ma «bisogna andare più lontano e più in fretta, in particolare perchè l’inflazione è troppo debole», ha aggiunto. E il Fondo Monetario Internazionale ha avvertito che il rischio deflazione è ancora «chiaramente presente nell’eurozona e in alcuni Paesi è una realtà».